L’ANALISI: BCE rassicura, FED tergiversa e BOJ all’attacco pur di arginare le uscite dai mercati finanziari
Probabile altro mese negativo nonostante le chiamate “rialziste”
Da inizio anno i mercati azionari mondiali sono stati indubbiamente colpiti duramente da un intenso ‘sell off’ con ricadute spesso a doppia cifre sui listini. Discese che hanno portato molti di loro ad entrare in territorio cosiddetto ‘orso’, ovvero con discese superiori al -20% dai massimi della tarda primavera 2015. Nell’ultima parte del mese di gennaio i banchieri centrali hanno però arginato la caduta con le parole quasi minacciose di Draghi (BCE), con quelle più accomodanti della Yellen (FED) ed infine con quelle a sorpresa di Kuroda (BOJ). La situazione dei listini globali riportata nel grafico allegato ed al 21 gennaio appariva infatti molto critica e prossima alla capitolazione ma da quel giorno è partita una sequenza di interventi verbali e non in grado stabilizzare o quantomeno arginare quelle massicce fuoriuscite di capitali dai mercati che hanno polverizzato oltre 16 trilioni di capitalizzazione mondiale.
LE SOLITE MOSSE
Il primo tampone è giunto dal presidente della banca centrale europea ed in particolar modo dal suo intervento al meeting dell’Eurotower con l’annuncio di possibili nuovi interventi a marzo e poi al World Economic Forum di Davos con toni più decisi, dichiarando che alla BCE “abbiamo molti strumenti a disposizione per intervenire e soprattutto il Consiglio direttivo ha il potere, la volontà e la determinazione di usare questi strumenti” per poi rafforzare il concetto con un rassicurante “non ci arrenderemo”. Dichiarazioni dal sapore simile a quel famoso “whatever it takes” dell’estate 2012 che hanno permesso di placare gli animi isterici degli operatori, fermando così la caduta dei listini europei ed in particolar modo di quello italiano. Quest’ultimo anche a seguito degli ulteriori chiarimenti volti a stemperare la tensione sulle banche italiane e sulle maggiori richieste d’informazioni fatte dalla stessa BCE mentre il ministro Padoan e la UE giungevano ad un accordo di compromesso per la gestione delle sofferenze bancarie. A seguire è poi arrivata a metà della settimana scorsa anche la voce delle Yellen a conclusione del meeting della FED. Da parte della banca centrale USA, oltre al nulla di fatto sui tassi dopo il precedente aumento, si è voluto trasferire al mercato un messaggio di attesa, dichiarando che resta aperta l’opzione per ulteriori rialzi dei tassi seppur sia stato evidenziato che la decisione avverrà “monitorando da vicino gli sviluppi economici e finanziari globali valutando le loro implicazioni per il mercato del lavoro e per l’inflazione e per l’equilibrio dei rischi”. Per non far perciò preoccupare gli ancora nervosi operatori finanziari si è quindi fatto interpretare agli stessi una posizione di “wait and see” in grado di lasciar ipotizzare finanche un ravvedimento in merito alle politiche monetarie intraprese. Dopo tante parole e pochi fatti concreti è però arrivato sul finale di settimana il colpo di scena del Giappone per il tramite di Kuroda. Il capo della Bank of Japan, come evidente dalle Reuters news pubblicate in data 21 e 29 gennaio, è infatti riuscito a spiazzare gli operatori finanziari e le loro posizioni smentendo addirittura e clamorosamente sé stesso nell’arco di una settimana.
Il banchiere nipponico pur di raddrizzare una situazione economica ed inflattiva non certamente brillante rispetto agli obiettivi preposti dalla “Abenomics” e con un indice Nikkei in area “bear market” ha sbalordito i mercati con il lancio del cosiddetto “QQE with a Negative Interest Rate”, ovvero con la continuazione della stampa monetaria quantitativa e qualitativa da 80 trilioni di Yen ma con l’aggiunta ora della politica dei tassi negativi (NIRP) in stile vecchia Europa. Il Giappone ha quindi portato inaspettatamente i tassi da +0,1% a -0,1% per i depositi in eccesso delle istituzioni finanziarie presso la banca centrale, decisione a cui è stata accompagnata anche la promessa che, se necessario, i tassi diventeranno ancora più negativi. Un impegno quasi minaccioso verso gli attoniti operatori finanziari che hanno reagito con uno forte “squeeze” nei rapporti di cambio dello Yen contro Dollaro e dei ribassisti sull’indice azionario.
Tale annuncio non solo ha creato un’onda d’urto capace di far oscillare vistosamente l’indice nipponico tra discesa e poi risalita finale a +2,80% ma è stato in grado di generare un effetto tsunami su tutte le altre piazze finanziarie del globo. Uno “spinta” al rimbalzo planetario simile a quanto già accaduto in precedenti e sempre inattese decisioni di politica monetaria da parte della BOJ.
CONTESTO DIVERSO
Quanto sta accadendo seppur ricordi gli effetti “boom” degli annunci che hanno puntellato sui top i mercati alla fine del QE americano nell’ottobre 2014 e per buona parte del 2015 ora appaiono più come una rete di protezione per rallentare la caduta nella speranza di poter governarne al meglio e nel modo meno traumatico lo “sboom” derivante dalla fine più o meno graduale delle politiche espansive. Secondo una recente intervista fatta sempre a Davos dal giornalista Ambrose Evans-Pritchard del Telegraph a William White: “la situazione d’oggi è peggio che nel 2007 in quanto le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate ed i debiti hanno continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni”. A dirlo non è però uno sprovveduto bensì uno del sistema alla pari dei banchieri centrali, essendo presidente della commissione revisioni dell’Ocse ed ex capo economista della Banca dei Regolamenti Internazionali. Per White è impossibile sapere quale sarà l’evento che innescherà la prossima crisi poiché il sistema globale ha perso il suo ancoraggio ed è intrinsecamente incline alla rottura ma una svalutazione cinese avrebbe chiaramente il potenziale per produrre una concreta metastasi. La Cina non ha di fatto finora partecipato alle guerre valutarie basate sul deprezzamento competitivo ed un suo serio ingresso in un gioco a somma zero alzerebbe di molto la posta ed il rischio. Uno spunto di riflessione che probabilmente non mancherà di aver prossimamente riscontro dopo l’azione monetaria inattesa del Giappone.
POSSIBILE PROSECUZIONE
Il mese di febbraio pertanto potrà essere un intervallo di tempo in cui si sommeranno anche le incertezze o le speranze sulle prossime decisione di FED e BCE attese per marzo, motivo per cui la volatilità potrà rimanere ancora elevata nel bene o nel male. Al fine di una più ampia valutazione dei rischi e per non cadere subito nella fallace tesi che dopo un mese deludente possa seguirne uno positivo, semmai avvalorato da concetti quali la storica stagionalità del periodo (novembre-aprile) o da indicatori di ipervenduto e di sentiment negativo, può essere utile osservare l’allegato andamento storico dell’indice S&P500 dal 1957 ad oggi e tratto dal sito realinvestmentadvice.com. Dall’analisi della locomotiva dei listini mondiali emerge che ci sono stati solo 20 mesi di gennaio negativi da allora ad oggi (circa il 33%) ma quando ciò è avvenuto per ben il 70% delle volte è poi seguito anche un mese di febbraio negativo (14 ribassi – 5 rialzi). Una probabilità perciò sfavorevole di cui tener conto visto e considerato la forte chiamata “rialzista” che si osserva spesso nei media mainstream.
Devi accedere per postare un commento.