Anche se ad aver destato un giusto clamore è stata la crisi di Mps, il problema maggiore si annida nelle piccole banche. Quelle che venivano rimpiante per il loro radicamento territoriale, per la vicinanza agli operatori economici, per la conoscenza di clienti e territorio. Ora tutte queste virtù si sono trasformate in problemi, intendiamoci :non erano vere virtù.
Le piccole e pure le medio-grandi appartenevano al circuito perverso della politica-affari, politica-prestiti-consenso, infatti la loro redditività ne risentiva, i dividendi erano magri e la capitalizzazione modesta.
Che l’intreccio sia imponente, lo testimonia la vicenda Mps, nessuno del vertice è stato arrestato (mentre Lele Mora si è fatto un anno di carcere), le perquisizioni sono avvenute dopo mesi dall’avvio dell’inchiesta ed il tutto si concluderà con la scoperta che non di reati si tratta, ma di dabbenaggine. Ora tocca alla Carige: sofferenze al 17% sugli impieghi, magistratura in lenta manovra, perquisizioni e arresti, non pervenuti. Nel mentre la Banca d’Italia, che come Berlusconi non poteva non sapere, commissaria Banca Marche e Cassa di Ferrara ma non Genova o Popolare Puglia e Basilicata o decine di altre banche.
Ci vuole prudenza: il sistema come quello spagnolo è pieno di sofferenze, soprattutto legate all’immobiliare, ma portare tutto alla luce significa fare aumenti di capitale, che nessuno sottoscrive, ad eccezione dei soliti imprenditori che ricevono crediti. Vedi l’infausto schema Zaleski, che tanto preoccupa ora Banca Intesa, esposta per oltre un Mld di euro e non è sola in questa vicenda.
Le banche più sono territoriali, più sono esposte alle pressioni per concedere crediti e oggi le sofferenze viaggiano a doppia cifra. Il localismo tanto rimpianto, sarà d’ora in avanti occasione di pianto.