Turchia
- La crescita dell’economia della Turchia nel 2015 è risultata superiore alle attese, sfiorando il 4%; nonostante il lungo ciclo elettorale e le crescenti minacce terroristiche che avrebbero potuto minare il sentiment degli operatori economici, la domanda domestica è rimasta solida, in particolare la spesa per consumi. La Turchia ha fortemente beneficiato della discesa del prezzo del petrolio, che ha portato il deficit delle partite correnti al 4,4% del PIL (da quasi il 10% nel 2011). La politica fiscale più espansiva, in parte per far fronte alle promesse elettorali, potrebbe supportare la crescita a questi livelli anche nel 2016 ma i rischi sono decisamente al ribasso, legati alla debolezza del turismo ed all’inflazione persistentemente elevata.
- La politica monetaria rimane confusa e poco prevedibile, tanto più che il mandato del Governatore della Banca Centrale scadrà a metà aprile. La principale ancora macroeconomica della Turchia è rappresentata dalla gestione ortodossa dei conti pubblici, che hanno superato indenni anche il rialzo del 30% del salario minimo (una promessa elettorale).
- Il principale problema della Turchia è la crescente tensione politica interna ed esterna. Sul fronte interno, la retorica politica è destinata a rimane aggressiva con la prospettiva di un referendum sul passaggio ad una Repubblica Presidenziale, che polarizzerà ulteriormente l’elettorato tra i sostenitori del partito AKP del Presidente Erdogan ed i suoi oppositori. Mentre un intervento militare della Turchia in Medio Oriente sembra poco probabile, il terrorismo domestico (di matrice curda) è in deciso aumento e le relazioni internazionali sono tese. La principale vittima della situazione è il turismo: i nuovi arrivi in febbraio sono scesi del 10% su base annua, il settimo mese consecutivo di ribasso.
- La Fed più dovish del previsto negli ultimi due mesi, la resilienza dei conti pubblici e dell’attività economica e lo status di importatore di commodities in un contesto di prezzi delle materie prime calanti hanno determinato un significativo restringimento dello spread sovrano turco negli ultimi mesi rispetto all’indice EMBIG e rispetto ad emittenti di pari rating. Anche se il contesto macroeconomico locale e delle condizioni finanziarie internazionali (cui la Turchia è storicamente molto sensibile) rimane di supporto, riteniamo che i mercati siano troppo compiacenti sul fronte del rischio geopolitico e della credibilità delle istituzioni di policy e che il credito sovrano turco non incorpori un adeguato premio per il rischio politico.
Arabia Saudita&Emirati Arabi Uniti
- Anche se la crescita del PIL nei Paesi del Golfo nel 2015 ha tenuto poiché l’aumento dell’estrazione di greggio ha parzialmente compensato il calo del suo prezzo, nei conti pubblici e nelle bilance delle partite correnti si sono aperte delle voragini. Nel caso dell’Arabia Saudita, uno dei più colpiti (62% delle entrate fiscali, 40% del PIL e 84% dell’export legato al petrolio), la bilancia delle partite correnti è peggiorata di 15 punti percentuali di PIL finendo in deficit, mentre il deficit pubblico è stimato a quasi il 20% del PIL a fine 2015. Per il funding i Governi del Golfo hanno finora fatto ricorso alle risorse domestiche, attingendo ai fondi sovrani, alle riserve valutarie ed ai depositi presso le banche locali, con conseguente drenaggio di liquidità dal sistema finanziario e tensione nei cambi fissi delle valute locali contro US$.
- Con il petrolio nella parte alta del range 25/45 US$/barile che ci attendiamo prevalente a medio termine, le condizioni macroeconomiche nel Golfo Persico rimangono deboli, anche se l’apertura dell’economia dell’Iran può favorire gli Emirati Arabi Uniti per via degli stretti legami commerciali. Il rischio geopolitico è particolarmente elevato su diversi fronti, anche a causa della politica estera più aggressiva dell’Arabia Saudita.
- L’indebolimento dei fondamentali, i crescenti rischi geopolitici, la prospettiva dell’arrivo sul mercato primario degli eurobond dei Governi (in particolare dell’Arabia Saudita) e l’azione delle agenzie di rating (S&P ha tagliato l’Arabia Saudita di 3 livelli in 6 mesi, Fitch di uno e Moody’s ha il rating in revisione per possibile downgrade) hanno determinato un forte allargamento degli spread dei corporate parastatali del Golfo fino a febbraio. Non riteniamo che a breve vi siano rischi di eventi di credito, ma dopo il recente rimbalzo gli spread sembrano troppo stretti.
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