Argentina
- La vittoria di Mauricio Macri alle elezioni presidenziali ha rappresentato la svolta per l’Argentina ed il processo di riaggiustamento strutturale dell’economia è partito. Il Governo ha riscosso il plauso dei mercati finanziari dando prova di voler sfruttare il consenso elettorale per varare alcune misure «distruttive» che, pur avendo un costo economico elevato a breve termine, sono fondamentali per la ristrutturazione dell’economia. Le recenti iniziative dovrebbero deprimere la crescita nel 2016 e alimentare l’inflazione nel secondo semestre, ma il clima di fiducia che si sta diffondendo dovrebbe sostenere l’economia nel 2017, quando l’inflazione è attesa tornare sotto il 20%.
- La svalutazione del peso di dicembre ha chiuso il divario con il cambio al mercato nero e corretto la sopravvalutazione reale della divisa; sono stati rimossi i controlli sui movimenti di capitale e le tariffe sull’export agricolo. La politica monetaria è stata ricondotta su una linea più ortodossa, introducendo un target di inflazione (20/25% per il 2016) e alzando i tassi oltre il 30% per riportare il tasso reale in territorio positivo. L’istituto di statistica nazionale è in ristrutturazione per ricalcolare in modo affidabile le variabili macroeconomiche chiave (in particolare l’inflazione) e sono state innalzate le tariffe dei servizi pubblici. Soprattutto, la saga del debito in default è giunta al termine e l’Argentina ha raggiunto accordi per i rimborsi con tutti i principali holdout. Ora che il Parlamento ha rimosso le leggi che impedivano i rimborsi, l’Argentina tornerà entro aprile sui mercati internazionali per il funding, interrompendo così la monetizzazione del deficit pubblico che è la causa principale dell’elevata inflazione. L’ultimo ostacolo è il pronunciamento della Corte di Appello USA il 13 aprile sulla decisione del giudice Griesa di rimuovere il blocco al servizio del debito ristrutturato.
- I bond dell’Argentina non hanno risentito della recente turbolenza sui mercati grazie al flusso di notizie positive sul programma di riforme di Macri, in particolare l’accelerazione degli accordi con gli holdout. Il Governo si prepara ad emettere 10/15 miliardi US$ di bond con scadenza 5, 10 e 30 anni in aprile per pagare gli holdout in base agli accordi. La nostra view sull’Argentina è positiva perché il processo di riforma strutturale ci pare ben avviato, i nuovi bond dovrebbero entrare nei benchmark (essendo di diritto USA) ed i rating sul debito dovrebbero presto essere rivisti al rialzo. I vecchi bond Par, Discount e Global potrebbero risentire a breve termine del ritorno sul mercato primario in quantità così elevate e dell’incertezza sul rendimento proposto del 7,5%. Riteniamo invece che le emissioni di enti parastatali come Provincia di Buenos Aires e la compagnia petrolifera YPF (che nell’ultimo mese sono già andati sul mercato primario per anticipare il Governo) o i warrant PIL (che sono un’opzione sul ritorno alla crescita nel 2017 che attiverebbe nuovamente lo stacco della cedola) siano più interessanti..
Venezuela
- Dopo le elezioni di dicembre il Venezuela è politicamente paralizzato in uno scontro tra il Parlamento (controllato dalla coalizione di opposizione) da un lato ed il Presidente Maduro ed il sistema giudiziario (controllato dal partito chavista) dall’altro. Questa situazione rende quasi impossibile portare avanti un piano di indispensabili riforme strutturali ed espone il Paese ad un rischio costante di rivolte sociali.
- Le condizioni macroeconomiche sono ancora peggiorate negli ultimi mesi. La recessione iniziata nel 2014 si è acuita nel 2015, ad un ritmo di contrazione dell’economia stimato intorno al 7% del PIL, che persisterà nel 2016, guidata dalla riduzione del prezzo e della produzione del petrolio, dalla scarsità di valuta forte e dal collasso della domanda domestica. La carenza di beni sul mercato interno e la continua monetizzazione del crescente deficit pubblico (oltre il 10% del PIL) stanno spingendo l’inflazione verso il 200% annuo con un andamento esponenziale che ha tutte le caratteristiche di una fase di iperinflazione. Con il prezzo del petrolio venezuelano a 30 US$ al barile alla fine del 1Q 2016 (in calo di un terzo rispetto al 2015), il deficit delle partite correnti e dei pagamenti continua ad ampliarsi.
- In questo contesto è probabile che un processo di riforme strutturali graduali sia inefficace per risollevare l’economia. L’aumento dei prezzi della benzina appena annunciato è irrilevante per le entrate pubbliche (nonostante l’aumento di 62 volte da 0,097 bolivar a 6 bolivar al litro) e la recente ennesima riforma valutaria (che pure ha comportato una svalutazione secca del bolivar) non è ancora sufficiente a chiudere il divario con il cambio sul mercato nero che è ben oltre i 1000 bolivar per US$ (rispetto ai 310 del cambio fluttuante ufficiale più debole).
- Il Governo del Venezuela continua a dare la priorità al servizio del debito estero rispetto all’approvvigionamento di beni per il mercato domestico, dando fondo ad ogni canale di funding disponibile. Questa situazione è chiaramente insostenibile considerando che la disponibilità garantita dalla Cina non è illimitata e che le riserve valutarie continuano a diminuire, oltre al rischio che un cambio di Governo o l’esplosione della tensione sociale possano determinare un cambio «distruttivo» della politica economica. L’orizzonte temporale dell’investimento sui bond Venezuela e PDVSA non va oltre i 6 mesi e le quotazioni sono strettamente legate all’andamento del prezzo del petrolio; di recente inoltre è tornato il rischio di nuove emissioni (la Banca Centrale sta vendendo sul mercato un bond PDVSA in US$ di cui si ignorava l’esistenza). Dal momento che una ristrutturazione volontaria del debito PDVSA avrebbe poco appeal presso gli investitori nelle attuali condizioni, la probabilità di un evento di credito nel 4Q (dove si concentrano i pagamenti) è molto elevata.
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