L’ANALISI: il tempo stringe e la fuga dei capitali aumenta il rischio ‘Grexit’ o di controlli e ‘bail-in’ sui depositi
Per Draghi la liquidità d’emergenza sarà data finché le banche elleniche saranno solvibili
Il limbo temporale concordato a fine febbraio dal governo greco con l’Eurogruppo è sempre più vicino al termine e di soluzioni ancora certe non sembra esservene alcuna traccia, se non a parole e tramite i recenti avvicendamenti interni al governo Syriza. Dopo l’uscita del ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis dal team dei negoziatori che devono confrontarsi con i creditori internazionali, a seguito della rottura con l’eurogruppo post meeting di Riga, appare sempre più complessa ed in avvitamento la situazione ellenica. Il mercato azionario greco ha però festeggiato questo cambio di testimone tra Varoufakis e Euclid Tsakalotos (viceministro delle relazioni internazionali) con un’effervescenza a dir poco sospetta e con oltre l’8% di rialzo nell’ultima settimana. Un’euforia che a ben guardare deriva più dall’aumento per altri 1,4 miliardi di euro del tetto massimo al finanziamento d’emergenza ELA messo in campo dalla BCE per le banche greche e dalle misure attuate con decreto d’emergenza dal governo e volte a trasferire le riserve di cassa ed i fondi di tutte le amministrazioni pubbliche del paese, inclusi i fondi pensione, presso la banca nazionale, piuttosto che dalla nuova nomina.
RIMPASTO DI FACCIATA
La mossa di Tsipras è giunta dopo una burrascosa riunione che ha portato ad etichettare il suo ministro della finanze come un «dilettante» ed un «perditempo» da parte dei burocrati di Bruxelles ma a ben guardare, sembra aver più l’aria di un semplice maquillage utile a prendere tempo piuttosto che un vero punto di svolta per le prossime trattative. Non bisogna infatti dimenticare che seppur l’interlocutore di facciata sia cambiato, è sempre Varoufakis il ministro delle finanze greco nonché e come ha rivendicato in un’intervista al quotidiano tedesco Die Ziet è lui che “imposta il tono” ed è “sempre responsabile nei negoziati con l’Eurogruppo”. A questo è poi da aggiungere che, seppur nei modi e nello stile, il sostituto Tsakalotos sembri più “appropriato” al tavolo delle trattative, è pur sempre espressione di un governo che ha ricevuto un preciso mandato popolare contro l’austerity e che tale ministro dichiarava poco tempo fa al Guardian che “stiamo lavorando per un compromesso e vogliamo una soluzione ma se le cose non dovessero andare per il verso giusto, bisogna sempre considerare lo scenario peggiore”. E per finire anche le ultime esternazioni del primo ministro Tsipras non sembrano così rassicuranti sugli esiti finali delle trattative, avendo paventato la possibilità di un referendum nel caso in cui l’accordo con i creditori “ecceda il mandato” popolare assegnato al governo.
IL TEMPO STRINGE
Il rimpasto tanto decantato sarà presto messo alla prova e più precisamente nei prossimi 7 giorni, essendo il tempo a disposizione assai limitato e vincolato alla prima rilevante ‘deadline’ del 12 maggio, ovvero quando la Grecia dovrà rimborsare i 747 milioni di euro che deve al Fondo Monetario Internazionale. Esattamente il giorno seguente al prossimo meeting con l’Eurogruppo. L’allegato calendario dei rimborsi rappresenta una valida guida per capire quali saranno i momenti topici da qui all’estate, ovvero i possibili ‘check point’ di crisi.
Secondo Goldman Sachs, ovvero l’artefice del grafico, è però il 20 luglio il vero banco di prova definitivo, essendo in tale data ben 3,6 i miliardi di euro in scadenza ed a favore della BCE. Ad Atene restano forse ed in realtà non molte settimane o nella peggiore delle ipotesi davvero pochi giorni per arrivare ad un’intesa con i creditori internazionali, ovvero ad un accordo in grado di garantire un terzo pacchetto di sostegno finanziario utile ad evitare l’insolvenza.
RISCHIO ‘GREXIT’
Un conto alla rovescia che è stato certificato nei giorni scorsi dall’ulteriore declassamento del debito greco da parte dell’agenzia Moody’s. Il rating è infatti sceso da Caa1 a Caa2, con outlook negativo. Un giudizio che equivale ad una probabilità in crescita di default e che, in caso di mancato accordo con i creditori, associa una possibilità su quattro di fallimento nei prossimi due anni. Un rischio già espresso nei rendimenti delle obbligazioni greche, attraverso una curva evidentemente spezzata tra le emissioni a tre/sei mesi con rendimenti tra il 5% ed il 4% e quelle a due anni ormai prossimi al 20%.
In un tale contesto si sprecano le opzioni sugli esiti finali ma indubbiamente è in crescita la scommessa sull’uscita della Grecia dall’Eurozona e questo è ben evidente dall’ultimo sondaggio effettuato dal gruppo di ricerca tedesco Sentix. La cosiddetta Grexit, non può essere perciò un’ipotesi da ignorare completamente bensì da valutare tra le variabili d’investimento più imminenti.
CAPITALI IN FUGA
Mentre gli investitori internazionali intervistati si interrogano sul rischio di un prossimo Euro Break-Up sono invece molto più preoccupati e determinati i greci. Continua infatti la fuga dei depositi dalle banche greche, che crollano ai minimi del 2005. Tra i mesi di dicembre e marzo, le banche greche hanno visto uscire ben 27 miliardi dai loro forzieri. Il comune cittadino ellenico sta infatti portando via tutto dai conti per la paura di ritrovarsi presto con una nuova dracma svalutata rispetto all’euro o più probabilmente per il rischio di un prossimo blocco dei capitali o peggio ancora di un generale ‘bail-in’ del sistema bancario in stile Cipro. Quest’ultimo timore è forse la paura peggiore ma più concreta, essendo ormai l’intero sistema bancario sorretto dalla liquidità di emergenza erogata tramite i fondi di emergenza ELA (Emergency Liquidity Assistance) della BCE. Nel grafico seguente è riportato l’andamento dei depositi nelle banche greche rispetto alle linee di finanziamento dell’Eurosistema alla Grecia, con l’evidenza di cosa accadde nel 2012 quando i due valori furono molto vicini.
‘DANGER ZONE’
Rispetto al grafico e con l’ultimo dato pubblicato dalla BCE, tale differenza si è ulteriormente ristretta essendo l’attuale ammontare dei soli fondi ELA a quota 76,3 miliardi. Un tipo di finanziamento questo che, come da procedure BCE, prevede la responsabilità dell’erogazione a carico delle rispettive Banche Centrali Nazionali e ciò significa che qualsiasi costo e rischio derivante è altresì sopportato dalle stesse Banche Nazionali e dunque, nel caso greco, di competenza della Bank of Greece. Un dettaglio non trascurabile in quanto la BCE non sarà a lungo disposta ad erogare ad occhi chiusi e senza adeguate garanzie. Mal pensando, verrebbe da supporre che non vorrà concedere oltre a quanto ancora depositato nel sistema bancario.
Lo stesso Mario Draghi ha infatti recentemente dichiarato che «la liquidità d’emergenza alla Grecia sarà data finché le banche elleniche saranno solvibili» ed il 6 maggio prossimo verrà rivisto il tetto all’ELA proprio prima del meeting Grecia-Eurogruppo. In un tale contesto di fuga di capitali il tempo stringe e potrebbe essere inferiore a quello preventivato dal governo greco e dai burocrati di Bruxelles. Se la BCE non volesse o non potesse più rabboccare le uscite e non si trovasse l’accordo prima che i deflussi raggiungano il punto di non ritorno, allora le peggiori paure dei greci diverrebbero realtà e con esse anche quelle dei mercati.
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