Il valore della salute e il prezzo dei farmaci – Serena Sileoni

farmaci-contraffatti In un articolo apparso  sulle pagine del Domenicale, il professor Luzzatto ha sostenuto che ciò che manca al settore farmaceutico è la concorrenza. Un libero mercato si reggerebbe sue due caposaldi, la libertà dei prezzi e la concorrenza, e quest’ultima calmiererebbe la prima. Commentando l’altissimo costo negli USA dell’unico farmaco ora in commercio per curare l’epatite C (per il quale il Senato americano sta chiedendo spiegazioni al produttore), Luzzatto conclude che il prezzo dei medicinali non debba più arbitrariamente essere stabilito dal mercato.

Anche ammettendo che il prezzo di mercato, quello che risulta dall’incontro di domanda e offerta, sia arbitrario, quello dei farmaci è tutto fuorché un libero mercato. Questo non perché l’offerta è concentrata, ma perché manca proprio il pilastro della autonoma determinazione del prezzo.

L’uso della scoperta della molecola appropriata è, coerentemente col regime dei brevetti, protetto fino a un certo limite temporale da chi ha investito risorse umane e capitali per giungere a quella scoperta. E’ sufficiente questo per dire che non c’è concorrenza? A mio parere no. La ricerca non è attività preclusa per legge. Certo, servono capitali e capitale umano. Beni preziosi, ma non introvabili, vietati o disponibili per legge a uno o pochi operatori. Molto spesso, come avvenuto in questi giorni per il vaccino sperimentale per Ebola individuato da una start up californiana, sono i “piccoli” e non i giganti a realizzare le scoperte più rilevanti.

Piuttosto, quello che rende il mercato dei farmaci così atipico da non essere nemmeno definibile tale è proprio il modo in cui si formano i prezzi.

Che la Fda statunitense abbia approvato la commercializzazione di un farmaco molto costoso per una malattia diffusa come l’epatite C e che il Senato abbia avviato una serie di attività di controllo sul suo prezzo è la dimostrazione che, anche laddove il prezzo non è amministrativamente fissato, ci sono strumenti di controllo pubblico circa la sua adeguatezza.

Nei servizi sanitari universali, il prezzo è imposto precisamente perché lo Stato è il principale – talora unico – acquirente dei farmaci, e come tale gode di una leva contrattuale smisurata.

Così, in Italia l’immissione al commercio di un farmaco è contestuale alla determinazione del suo prezzo tramite una negoziazione con l’Agenzia italiana del farmaco; in Europa, già dalla fine degli anni Ottanta una direttiva impone agli Stati membri criteri di fissazione e controllo del prezzo dei medicinali, al punto da generare casomai il rischio opposto di arbitrio del regolatore/acquirente.

Anche in un contesto relativamente più libero, come negli Stati Uniti, l’apposizione del prezzo è molto più complessa di quel che appare, e coinvolge contrattazioni per sconti con le farmacie o con i canali di assistenza come Medicare.

Si può discutere se l’intermediazione della mano pubblica sia il modo migliore per far quadrare il cerchio tra le esigenze economiche di chi fa ricerca e produce medicine, e le esigenze terapeutiche dei pazienti, sotto il vincolo, tutt’altro che indifferente, dell’equilibrio della spesa pubblica.

Quello che sembra un dato reale, però, è che il prezzo dei farmaci, in modalità e con risultati diversi, non è arbitrariamente fissato dalle case farmaceutiche.

Vita e salute non hanno prezzo, per questo le medicine sembrano sempre costare “troppo”. Il loro costo è il punto di massima frizione tra la tutela di ciò che di più importante e indominabile abbiamo, le capacità di spesa pubblica e la remunerazione degli sforzi compiuti dall’industria in ricerca, innovazione, produzione. Che i governi sappiano mediare tra i tre fattori, è discutibile. Che già lo facciano, è indubitabile.

Da: Leoni blog

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