Domenica era la sagra del paese dei miei genitori. Una volta festa grande: messa, processione, mangiate da scoppiare e poi tutti a ballare. Il parroco no, ma passava per controllare e rendicontare la domenica successiva, durante la predica. Mi è presa una botta di nostalgia, c’era mamma e sono andato. Sapevo che ormai è una domenica come tutte le altre e allora, visto che non lo vedevo da quarant’anni, ho telefonato a Miro, il nome mi pare da comandante partigiano. L’ho invitato: subito un po’ d’imbarazzo, troppe domande in bocca e poche risposte chiare, poi il discorso è andato come il pranzo, lento e saporito. La sera eravamo tutti e due contenti, stanchi e brilli, con buona pace delle mogli che hanno capito e poi guidato. Strano destino, quello di Miro, o meglio, un destino tutto italiano. Quando è arrivato a Genova aveva dieci anni, ha finito le elementari, fatto l’avviamento, allora era propedeutico al lavoro e durava tre anni e poi cercato un lavoro, prima apprendista meccanico poi carrozziere. Era bravo, Miro. Allora i colori si dovevano fare ad occhio e tenere conto dell’originale, scolorito dal sole. Lui ci prendeva sempre e pian piano, col passaparola ha rifatto tutte le più belle macchine “bocciate” di Genova. Metà degli anni settanta: crisi da tagliare col coltello, la città più industrializzata del dopoguerra, il primo porto d’Europa, era diventato una landa di disperazione. Crollato il porto passeggeri (si cominciava ad andare in aereo), svanite le compagnie petrolifere, traslocate a Roma, più vicine alla politica, distrutta l’elettronica industriale. La Elsag faceva elettronica per tutto il mondo, poi qualche mente illuminata ha cominciato a vendere i progetti e non gli impianti, in pochi anni i giapponesi la facevano da padroni. Non specializzato l’acciaio: si è voluto continuare a produrre il ciclo completo, ma spazio non ce n’era e inevitabilmente tutto è andato male, bastava fare prodotto e non colare, lo sapevano anche i sassi, ma non i grandi boiardi di Stato. Genova è diventata una delle città più assistite d’Italia, già in quegli anni si facevano i corsi di riqualificazione con i contributi europei e già allora si facevano truffe sui corsi; ne hanno fatto uno sui flipper, giuro, non su come progettarli, o al limite, aggiustarli, ma su come giocare, la motivazione era: giocando vengono idee su come sviluppare nuovi prodotti, risultato, neanche un’idea. E Miro? Li ha mandati tutti a stendere, ha fatto un corso da infermiere, poi dopo qualche anno di lavoro in ospedale, ha pensato, come Chatwin, di menare le tolle, è tornato a casa a fare l’infermiere nell’appennino reggiano, a respirare aria buona. Italia, Genova, Miro. Una lenta decadenza dalla potenza dell’industria, a quella dei servizi. Solo lui ha fatto le scelte giuste. Ed è politicamente incazzato come una pantera. Sacrifici dei suoi genitori, sacrifici suoi, tutto alle ortiche per una manica di politici inaffidabili che, con i loro balletti, i loro distinguo e i loro sporchi interessi si sono mangiati uno Stato intero e pervicacemente insistono. E vi pare di cattivo gusto se scrivo incazzato?
Devi accedere per postare un commento.