Punti di vista

cropping the worldL’altra sera, guardavo un gialletto in TV, ambientato a Miami, una robetta ben confezionata , ma leggerina. A un certo punto, una signorina di molto bell’aspetto, ha detto una cosa che mi ha colpito e mi ha spiegato per la milionesima volta perché siamo un paese perdente.

La suddetta signorina qui avrebbe fatto la fila per andare alla corte di Maria  De Filippi o di qualche trasmissione di scosciate, là invece raccontava di essersi laureata al MIT (Massachusset Institute of Technology), per farlo aveva speso 250.000 dollari e che glieli avevano prestati le banche.

Quindi, partendo dal fondo, le banche prestano soldi a uno che studia perché è sicuro che glieli renderà, e lo potrà fare perché, laureandosi, guadagnerà tanto abbastanza,  quindi la scuola sarà una garanzia solo se farà una selezione vera e dura dei suoi allievi e per garantire uno standard elevato, come professori cercherà i migliori e li strapagherà e quindi le tasse scolastiche costeranno un botto.

Questo sistema, magari opinabile nella parte finale, ha una sua logica e dà i suoi frutti. Non è un caso se fino ad oggi tutti gli ingegneri vorrebbero uscire dal MIT, come qui in Italia sino all’altro ieri tutti i fisici sarebbero voluti uscire dalla Normale di Pisa.

Ma per entrarci si devono (là) o dovevano (qua) avere caratteristiche eccezionali. Io, per curiosità, alla Normale l’esame di ammissione lo feci, arrivai in alto, ma non tanto abbastanza.

Una società, non dico sana, ma che voglia sopravvivere, deve avere delle “catene” di qualità ed eccellenza. Noi, finché abbiamo avuto scuole di ottimo livello ,nonostante le baronie, ci siamo difesi: abbiamo inventato la plastica (Natta nel ‘63 vinse per questo, con Ziegler, il Premio Nobel), abbiamo vinto un Nobel per la fisica (Rubbia, mandato a casa dall’ENEA, da un certo Scajola) e ancora adesso sforniamo gente, che poi ci portano via o se ne va. Solo i testoni rimangono qui a fare ricerca con i fichi secchi, come la Margherita Hack, cui il mondo avrebbe fatto ponti d’oro per averla e che noi  tenevamo in frigo per le sue idee politiche.

Ai miei tempi all’università i “lobbisti” erano i baroni, comandavano, ma poi c’erano tanti buoni professori e chi studiava poteva arrivare all’eccellenza, comunque ad un posto di lavoro, allora decentemente retribuito, almeno sugli standard italiani. Oggi, anche gli ingegneri lamentano qualche difficoltà d’ingresso e paghe da fame. Nel frattempo insegnare all’università è cosa non solo da baroni, ma da targati e schierati. Anche lì è arrivata in massa la politica e i risultati si vedono.

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