Ho un problema per una successione e, armato di buona volontà, sono andato nei palazzi. Nell’ordine: quello della banca, per i documenti che le servono, quello dell’anagrafe, che doveva darmi uno dei documenti, quello dell’INPS che doveva produrre una richiesta di rimborso e quello dell’Agenzia delle Entrate, che deve darmi altre pezze d’appoggio. Devo dire che la gentilezza regna sovrana, anche perché le code sono allucinanti, come la competenza, per la verità.
Nessuno mi ha ancora chiarito perché una successione del 2006, apparentemente registrata, visti i timbri, non abbia fatto mutare niente al catasto, o meglio, mi hanno rimandato da un ufficio a un altro, come una pallina del flipper, ma invece di accumulare punti-informazioni, mi ritrovavo più dubbi e disinformazione. Alla fine sono al punto di partenza, dopo una rissa tra l’impiegata front office e l’impiegata al primo piano, che, dopo avermi rimandato da Erode a Pilato, sono quasi scese a vie di fatto tra di loro. Si sono calmate rimandandomi ad una terza persona: la GRANDE CAPA, a loro dire risolutiva, che avrei dovuto incontrare nel pomeriggio (miracolo: apertura pomeridiana settimanale), ci sono andato, ma anche lei era non sapiente, comanda e quindi mi ha detto a chi rivolgermi, peccato che sia in ferie e nelle sue carte NESSUNO sappia mettere mano. Si è fatta carico di farmi chiamare lunedì perché sia fatta LUCE.
Tutto questo per scoprire che più della metà dei documenti mi verranno dati in 20-30 giorni lavorativi, in questo caso anche cumulativi, pagando le varie imposte di bollo, ballo e bullo. Niente di bello quindi, neppure dopo aver contato le persone impiegate (quelle che di solito si vedono sono la punta dell’iceberg) e la loro effettiva competenza. Kafka quando scrisse Il castello non aveva idea di dove saremmo arrivati noi italiani ed è comprensibile: era figlio di una burocrazia austro-ungarica efficiente, noi di una borbonica folle. Senza voler essere razzista, colpiscono anche i cognomi e i motivi per cui un capufficio è tale e un impiegato gli è sottoposto. Siamo prigionieri di un sistema impazzito, dove per decenni il posto di lavoro ha significato gonfiare la burocrazie, complicare le pratiche e quindi far aumentare tempi e balzelli.
Questo è un cancro. Quando l’ho raccontato ad un amico, ha sorriso e mi ha detto: hai proprio tempo da perdere, ti rivolgevi ad un sindacato, pagavi e facevano tutto. Lo sapevo anch’io, ma prima di andare a votare, ho voluto capire perché e poi, semmai, per chi.
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