Oggi, mi tocca andare oltre la provocazione, perché di fronte ai numeri che vi esporrò qui di seguito c’è da rimanere senza parole, fatti salvi gli insulti del caso. “L’Italia è il primo paese in Europa per la più alta pressione fiscale sulle imprese”. E questo si sapeva. Ma dal rapporto dell’ufficio studi di Confartigianato presentato a Firenze, si evince ben altro: “Imposte e tasse pagate dalle aziende sui profitti lordi, il cosiddetto ‘total tax rate’, raggiungono la percentuale del 68,5%. Se poi si aggiungono gli altri tributi (Iva sui consumi, accise su carburanti e energia, Imu, Irap, Irpef e contributi sociali per dipendenti) il prelievo sale, secondo Confartigianato all’86,4%”!Ops … ho letto male vero? No 86,4%! Tra i “confratelli d’Unione continentale” c’è la Francia con il 65,7%, poi la Germania (46,7%), la Spagna (38,7%) e il Regno Unito (37,3%). I nostri vicini di casa svizzeri hanno un’imposizione sull’impresa che corrisponde alla metà di quella italiana: 30,1%; in Slovenia arriva al 34,7%, e anche se in Austria sale è sempre di 15 punti inferiore a quella italica.
Capite che di fronte a queste cifre non basta dire che “le tasse sono un furto e che non pagarle è legittima difesa”? Macché, sembrerebbero le parole di un’educanda. Nel postribolo che ci obbligano ad abitare il nuovo motto è un altro: “Meglio il pizzo che le tasse”! Secondo voi – mi permetto di farvi una domanda – Mafie e Camorre varie quanto chiedono per dare protezione e servizi? Il 10%? Il 15%? Ma se anche chiedessero il 20% passerebbero per filantropi rispetto al governo italiano. Sissignori, Mafialand è un “paradiso fiscale”, altro che Cayman.
Rispetto all’Italia dei Napolitano, di Monti e della compagnia del fardello (parlamento) che vota le manovre del professor Bocconi il pizzo prende le sembianze di una mancetta. Seguitemi con attenzione. Nel mese di luglio dello scorso anno, lessi su “Il fatto quotidiano” questa notizia: “Lombardia, ‘ndrangheta più affidabile dello Stato. L’amicizia dei boss mi dà tranquillità”. Ecco, penserete, la solita Napoli! Anzi no, Palermo! Niente affatto. Il virgolettato va ascritto ai cittadini di Erba (Como), non di Corleone, che per la cronaca si sentono più protetti dai mammasantissima che dallo Stato. Il pezzo del giornale diretto da Padellaro, non era a firma di qualche “liberista selvaggio”, ma era farina del sacco della redazione.
Oggi come allora, anche perché sconvolto dalle cifre messe sul tavolo dai giovani artigiani, rilancio e ripropongo lo stralcio di una recensione, risalente al 1990, che Murray Newton Rothbard dedicò al notissimo film “il Padrino”.
Scriveva il professore americano: “La mafia alla fin fine non è altro che imprenditori che offrono beni e servizi vietati da una cultura puritana. In quanto cattolici italiani, sono profondamente religiosi, nonostante si dica che la loro pratica sia incoerente con la loro religione; ma essi rappresentano – o forse rappresentavano – un modo importante in cui i cattolici italiani potevano vivere in un mondo puritano a loro estraneo. La violenza praticata non è erratica, ma serve a far rispettare gli impegni volontariamente contratti, cioè serve a far rispettare l’equivalente della legge, i codici d’onore. Gli accordi fra famiglie rappresentano la mediazione e l’arbitrato delle dispute, per ridurre la violenza al minimo. Il crimine organizzato è essenzialmente anarco – capitalista, un’impresa produttiva che combatte per governare se stessa. Tranne quando cerca di monopolizzare e colpire i concorrenti, è produttiva e non-aggressiva. Invece il crimine da strada, erratico, aggressivo, è l’antitesi di quello organizzato; e infatti è preferito dalla sinistra, che tende a giustificarlo, mentre odia la mafia”.
Lo scomparso docente dell’Università del Nevada ha anticipato di ben due decenni – con l’onestà intellettuale che lo ha sempre contraddistinto – le affermazioni dei cittadini di Erba, anch’essi convinti che lo Stato è peggio della criminalità organizzata, con la quale, peraltro, oggi sappiamo anche che scende a trattativa privata. Vi avevo avvertiti che non bastano più le provocazioni.
In Italia s’è instaurato da almeno un anno clima orwelliano in cui è meglio essere pedofili che “presunti evasori fiscali”. Siamo costretti a vivere in paese dove un decreto dirigista lo si fa passare per “liberalizzazioni”, dove la tirannia fiscale la si definisce “rigore tributario”, dove – come ha ben fatto notare il senatore leghista Paolo Franco – al comma 8 dell’articolo 8 del cosiddetto “decreto semplificazioni” si “dà all’Agenzia delle Entrate la facoltà di istituire liste selettive di contribuenti segnalati in forma anonima da altri cittadini” (in pratica è l’istituzionalizzazione della delazione in stile cubano-sovietico), dove – e poi mi fermo – non esiste alcun segreto bancario e un “piripicchio” di Befera qualsiasi può sapere come e quando spendo i miei soldi.
Le benemerite associazioni che si battono contro il pizzo e l’usura dovrebbero piantare le tende davanti a Montecitorio e Palazzo Chigi, perché è lì che si trova il covo dei peggiori clan.
Son consapevole di aver urtato la sensibilità di molti di voi, ma “se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vuole sentire”. Per la cronaca, anche quest’ultima battuta è di quell’impareggiabile, inascoltato romanziere di nome George Orwell.
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