La riformetta del lavoro

thumbfalse1322046251975 475 280 L’Italia si sta dividendo: da una parte coloro che sono favorevoli a cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dall’altra chi si prepara ad erigere le barricate rispetto ad ogni proposta di modifica: non è mancato nemmeno il neo Viet Cong Di Pietro che propone di trasformare il Parlamento italiano in un “nuovo Vietnam”. Fonte di divisione non è solo l’articolo 18: vi è anche un altro fronte, quello che oppone i sostenitori della proposta di riforma del mercato del lavoro presentata dal Governo a chi vi si oppone con ogni mezzo, anche andando in piazza indossando magliette con la scritta “Fornero al cimitero”;non manca nemmeno chi ritiene che la proposta del Governo sia troppo blanda, in sostanza un’aspirina per curare una polmonite. Nel frattempo questa proposta di riforma del lavoro appare viziata da due incongruenze: la prima è rappresentata dal fatto che, da un lato, si dichiara che l’articolo 18 rappresenta un ostacolo per le imprese in quanto trasforma l’assunzione in un matrimonio, dall’altro si prevede di estenderne la validità dello stesso a tutte le aziende, comprese quelle con meno di 15 dipendenti che prima ne erano escluse; la seconda incongruenza è legata alla pretesa del Governo di non far valere per i dipendenti pubblici le modifiche dell’articolo 18 che si intendono introdurre.

Cosa sono i dipendenti pubblici, una razza protetta? Tutti sono uguali davanti alla legge, lo scrivono persino nelle aule dei Tribunali. Resta intanto da stabilire se l’improvviso “operaismo” della CEI e la sua opposizione al Governo Monti debbano essere ricondotti a motivazioni sociali o al fatto che il Decreto sulle privatizzazioni, ieri convertito in legge, preveda che la Chiesa debba pagare l’Imu, ex Ici, su tutti gli edifici di sua proprietà, tranne le scuole ed i luoghi di culto.

Sembra ormai certa l’intenzione del Governo di riformare il mercato del lavoro attraverso un Disegno di legge e non un Decreto, come si è previsto in un primo tempo; questa soluzione però presuppone una discussione parlamentare che si protrarrà per alcuni mesi, stante gli intenti ostruzionistici di alcune forze politiche. Napolitano, in passato, si è dimostrato uno specialista nello “stoppare” i Decreti proposti dal Governo Berlusconi, salvo poi firmarne una sfilza quando a presentarli è stato il Governo Monti. Il Presidente della Repubblica questa volta però pare abbia deciso di non voler firmare l’ennesimo decreto legge, per cui, gioco forza, il Governo Monti ha dovuto ripiegare sul Disegno di legge. Ne consegue che, di fatto, si è scelto ancora una volta la strada del rinvio, una consuetudine della politica italiana.

L’impressione è che le forze politiche che appoggiano il Governo in carica vogliano rinviare ogni decisione di riforma del mercato del lavoro a dopo le elezioni amministrative di maggio. Tutti infatti, chi per una ragione e chi per l’altra, temono il giudizio degli elettori, dopo questo strano “rassemblement” politico realizzato senza sentire il loro parere.

In ogni caso, stante il clima di incertezza attuale, la prospettiva che si prefigura è quella di una riformetta del lavoro, frutto di mediazioni infinite, che non cambierà nulla, mentre chi non ha un lavoro continuerà a rimanere disoccupato, ed i precari continueranno a rimanere tali.

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