Italia e il mantra della crescita

debito Durante il “lancio” dell’Expo, il premier ha invitato tutti all’ottimismo e ha previsto un’ uscita dal tunnel per l’Italia, non nella misura alcolica, pardon euforica, del centro studi di Confindustria, ma discreta. Tutti si aspettano lo 0,70% di crescita, il governo scommette almeno su di un rotondo 1%. In un dibattito politico dove chi  straparla è convinto di avere ragione, ancorarsi a qualche numero può aiutare la ragionevolezza. Secondo un report di McKinsey, il debito globale, nel mondo, è cresciuto negli anni della crisi (2007-2014)di ben 57.000 miliardi, una cifra monstre, equivalente a 17 punti di Pil. Per quanto riguarda le economie “mature,” è aumentato soprattutto il debito degli Stati, mentre quello privato è rimasto stabile, ma non si è ridotto. In questo periodo il debito pubblico è aumentato di 25.000 miliardi. Ciò comporta molti rischi e limita le prospettive di crescita, per questo il problema dovrebbe essere al centro del dibattito politico italiano, mentre non solo è assente, ma si sentono all’unisono voci che parlano di fine dell’austerità e necessità di un aumento dell’indebitamento. Il problema è che l’austerità non è mai iniziata veramente e anzi misure come quella degli 80 euro, hanno accresciuto il problema del debito. Gli anni di crisi, che avrebbero dovuto comportare la ristrutturazione dello Stato e del welfare, nonché dei consumi delle famiglie, portando ad una diminuzione sia del debito pubblico, che privato, si sono risolti in un aumento dell’uno e dell’altro. Come anche gli economisti da bar sanno, per i Paesi più indebitati è necessario un livello di crescita più elevato, ma la crescita necessita di investimenti strutturali, che non sono possibili a causa dell’alto indebitamento, in particolare, se si sceglie di privilegiare la difesa di un welfare non particolarmente efficiente, le risorse sono ancora meno. Le altre strade di riduzione del debito non vengono neppure menzionate, rispetto al mantra della crescita, perché sono tutte sgradevoli: sia che si tratti di una ristrutturazione profonda del bilancio per  ridurre il debito, il governo non ha neppure avuto il coraggio di rendere pubblico il rapporto Cottarelli che fotografava una parte dello spreco pubblico. Vi è poi la vendita di patrimonio attraverso le privatizzazioni, vorrebbe dire per l’Italia cedere le uniche grandi multinazionali, oppure una tassa patrimoniale, evento quanto mai probabile e altrettanto inutile, in assenza di un pareggio di bilancio ancora lontano, nonostante sia stato previsto in Costituzione. Infine l’ultima ratio: la ristrutturazione del debito, il ministro delle Finanze greco ci ha ricordato senza garbo che siamo nelle loro condizioni, semplicemente, alla stato attuale, abbiamo più tempo. La ristrutturazione del debito a cui ci condurranno i nostri governanti, tra chiacchiere, sprechi e insipienze, sarà un colpo formidabile per la ricchezza residua delle famiglie italiane. Gli italiani si disinteressano del debito pubblico come se fosse cosa altra,  invece grava su di loro o sui loro eredi e si tratta di un’eredità che non può essere rifiutata. Un dato che dovrebbe preoccupare il governo renzista, è che il debito delle famiglie italiane, storicamente uno dei più bassi rispetto al reddito, sta crescendo, mentre si è ridotto nei Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria: Stati Uniti, Inghilterra, Spagna e Irlanda. Insomma, i nostri conti stanno peggiorando, stiamo dando poco a tutti, eccetto a una casta di furbi e il nostro apparato produttivo si riduce ogni giorno, mentre lo Stato cresce. Ma di questo non si parla. Siamo gufi? Rosiconi? Non importa, i numeri restano scritti, con le loro scomode verità, mentre le parole vuote volano con il vento e chi semina vento farà raccogliere a tutti soltanto tempesta.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.