Perché tutti vogliono andare in pensione? Un mucchio di gente si infuria quando sente parlare di aumento dell’età pensionabile e sale sulle barricate a difendere un diritto inviolabile.
A parte le ovvie considerazioni economiche, ossia che per uno che va in pensione ci vuole un giovane che lavora per pagargliela (e non ci vuole molto a capire che in Italia la bilancia non regge) e quelle relative all’allungamento della vita, la domanda resta: perché questa smania di andare in pensione e questa ostilità all’aumento dell’età pensionabile?
Ora, io capirei i giovani, che vogliono liberarsi di una gerontocrazia che fa da tappo al mercato del lavoro, ma fatico a comprendere i diretti interessati,se non coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti.Forse c’è un problema culturale, per cui la pensione viene ancora vista come qualcosa di differente da ciò che in realtà è. Infatti è l’unico trauma – perché di questo si tratta – di cui si parla come una vacanza. Si dice “godersi la pensione”. Non ci sogneremmo mai di dire “godersi il lutto” o “godersi l’aborto”. Eppure,pur essendo la pensione un passaggio traumatico, accompagnato da senso di perdita, ristrutturazione improvvisa di identità, stile di vita, con discesa di status e ruolo sociale, viene trattata come se fossero semplici ferie che quel maledetto capoufficio ci vuole ridurre di una settimana.
Che il ritiro dall’attività lavorativa non venga vissuto esattamente come una vacanza lo dimostrano varie statistiche: ad esempio, sono gli anni immediatamente seguenti la pensione quelli più a rischio per l’insorgere di depressione, più che i casi osservati oltre i 70 anni, in cui i maggiori problemi fisici limitano la possibilità di condurre attività. Questo fa intendere come la riduzione di attività e ritmo di vita, quando l’individuo ha ancora stimoli ed energia, non sia positiva per il benessere psicologico. Anche in assenza di depressione, molti sintomi sono associati al ritiro dal lavoro, quali calo di autostima, senso di scarsa utilità, ansia causata dalla diminuzione del reddito, ecc.
Ma non solo: un pensionamento precoce si traduce spesso in una mortalità precoce. Uno studio condotto su dipendenti della Shell Oil ha rivelato come coloro che entravano in pensione a 55 anni correvano un rischio di mortalità entro i 65 anni, doppio rispetto a coloro che si ritiravano a 65 anni. Depressione, disturbi cardiaci e la maggiore incidenza di altre malattie in correlazione col periodo immediatamente successivo alla pensione, sono state riscontrate come ulteriori cause potenziali di decesso. Altri studi hanno addirittura riscontrato sorprendenti correlazioni fra il pensionamento e la maggiore probabilità di morire anche in circostanze traumatiche quali incidenti.
Nel complesso, stiamo parlando di una ristrutturazione della vita piuttosto drastica e non indolore, che culturalmente tendiamo a sottovalutare, ma che andrebbe preparata, gestita delicatamente e supportata socialmente. Ma allora, se la salute lo consente, perché tanta fretta di arrivarci?
Devi accedere per postare un commento.