IMU e mercato degli affitti

imu 318x203L’IMU di Monti (che ricordiamo non è quella del federalismo fiscale) ha un effetto poco considerato che concerne il mercato abitativo. Infatti l’IMU che si applica alle case date in affitto ha un’aliquota base del 7,6 per mille. Questa aliquota è stata inasprita da Monti, in quanto si applica su una rendita catastale rivalutata del 60%. L’aliquota è aumentabile o diminuibile di tre punti dai Comuni, da un minimo del 4,6 per mille a un massimo del 10,6 per mille.Un Comune che volesse scoraggiare gli alloggi sfitti e incoraggiare i contratti a canone concordato potrebbe teoricamente decidere di applicare un’IMU massima del 10,6 per mille alle case sfitte, del 7,6 per mille agli affitti a canone libero e un’aliquota minima del 4,6 per mille agli affitti a canone concordato. Già un’impostazione del genere è penalizzante per gli affitti, in quanto con l’ICI l’aliquota degli immobili dati in affitto a canone concordato aveva dei tassi che potevano anche essere ridotti a zero dai Comuni ad alta densità abitativa, ma che raramente andavano oltre al 2 per mille. Questo aveva lo scopo di incentivare le locazioni a prezzo contenuto e fare emergere i contratti irregolari.

Ma i Comuni ben difficilmente possono adottare una aliquota ridotta. Il governo Monti dice infatti che il 3,8 per mille dell’IMU va in ogni caso versato allo stato centrale, quindi diminuendo l’aliquota le amministrazioni riducono quanto incassano. In presenza degli altri tagli fatti dal governo questo diventa a volte impossibile. E’ quindi frequente che si “agevolino” i canoni concordati lasciando l’imposta per questi al 7,6 per mille e alzando l’aliquota al 10,6 per mille sia per i canoni liberi che per le case sfitte. Inoltre l’IMU assorbe anche l’IRPEF che si pagava sugli alloggi. In particolare sugli alloggi tenuti sfitti l’IRPEF era calcolata sulla rendita rivalutata di un terzo, proprio per scoraggiare il tenere immobili “a disposizione” e risolvere le tensioni abitative.

Invece adesso l’IRPEF si paga sui canoni di affitto ma sparisce ogni imposizione oltre all’IMU sugli alloggi sfitti. La convenienza di un affitto regolare risulta quindi assai ridotta o addirittura nulla. Vediamo qualche cifra, prendendo il caso (reale) di un Comune che applicava le aliquote ICI del 2 per mille agli immobili locati a canone concordato, del 6,8 per mille agli immobili locati a canone libero e del 9 per mille agli immobili sfitti da almeno due anni. Adesso lo stesso Comune applica solo due aliquote IMU: il 7,6 per mille agli immobili locati a canone concordato e il 10,6 per mille alle altre tipologie.

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Dallo schema sopra, fatto prendendo una abitazione tipica, si vede come l’imposta passi da 157 euro a 957 euro (oltre 6 volte tanto!) per gli affitti a canone concordato, e da 535 a 1335 euro per quelli liberi. In entrambi questi casi il proprietario paga anche l’IRPEF su quanto percepisce di affitto. Invece l’immobile sfitto aumenta da 708 euro a 1335 euro, ma sparisce l’IRPEF, il che vuol dire che in alcuni casi il proprietario paga di meno di quello che pagava prima.

In sostanza si danno delle mazzate incredibili a chi aveva messo il suo bene sul mercato dandolo in affitto, e si punisce particolarmente chi aveva rinunciato a un canone più alto per sottoscrivere un contratto a canone concordato. Invece non si fa pagare niente in più a chi ha degli immobili sfitti da molto tempo (o locati con contratti in nero).

Una manovra in linea con molte altre del governo Monti, disastrose nella impostazione e negli effetti. In questo caso pensiamo si darà una grossa spinta al mercato nero, con conseguenti danni nel medio-lungo termine per i bilanci statali e la creazione di tensioni sul mercato degli affitti, con sfratti e aumenti dei canoni.

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