Per decenni un dogma ha dominato il management e la gestione delle risorse umane: gli incentivi migliorano le prestazioni. E tuttora le grandi aziende hanno interi dipartimenti deputati a studiare i più efficaci piani d’incentivo, bonus, stock options, compensation and benefits e a controllare minuziosamente cosa fanno le persone. E se la scienza ci venisse a dire che tutto questo non serve a niente? O peggio ancora, serve a diminuire l’efficienza dei lavoratori?Il professor Sam Glucksberg, all’Università di Princeton, ha deciso di mettere alla prova due gruppi di persone dandogli un problema pratico da risolvere. In uno dei due casi offriva una somma di denaro per la risoluzione, nell’altro no. Il risultato? Il gruppo a cui veniva dato l’incentivo impiegava più tempo per risolvere il problema! La spiegazione di Glucksberg è che l’incentivo occupa parte dell’attenzione degli individui, sottraendo capacità creative alla soluzione del problema. Occorre comunque sottolineare come questo risultato abbia valore soprattutto in riguardo alla soluzione di problemi complessi o creativi, piuttosto che per compiti meccanici e ripetitivi, ma i primi sono quelli decisamente più strategici!Al MIT di Boston e alla London School of Economics hanno replicato studi similari, offrendo a gruppi di studenti degli incentivi economici per la soluzione di giochi e quiz. Il risultato? Sempre lo stesso: un peggioramento della performance.La discrepanza tra queste evidenze scientifiche e il generale operato del management aziendale resta sorprendente. Si continua ad insistere sulla motivazione estrinseca, ossia quella legata ad incentivi e sanzioni, si sorvegliano gli individui (timbrano il cartellino? Vanno su Facebook?), si stanziano premi produttività, si inonda il top manager di bonus milionari, peggiorandone probabilmente le prestazioni.In realtà cosa serve alle persone per lavorare meglio? Secondo il consulente americano Daniel Pink bastano tre cose: autonomia, senso di controllo su ciò che si fa e uno scopo. Tutto qui. Niente soldi extra, niente richiami, niente orari rigidi.Pink porta l’esempio di Google. Nell’azienda ci sono dei momenti della giornata “liberi”, in cui gli individui possono fare semplicemente quello che gli pare, come gli pare e dove gli pare. Possono anche andarsene al bar. Sono completamente autonomi, hanno il controllo di quello che fanno e si dedicano allo scopo che loro stessi decidono. L’unico accordo è che portino a compimento “qualcosa”. Sono dunque guidati totalmente dalla motivazione intrinseca. Metà dei nuovi prodotti di Google viene inventato in questo tempo “libero”.Se il fatto può sembrare sorprendente, non finisce qui. Altri studi hanno analizzato la produttività di lavoratori lasciati spazialmente liberi durante la giornata, ossia potevano scegliere dove lavorare: da casa, al parco, sul bus, in ufficio, ed organizzavano la giornata e gli impegni come volevano (grazie alle moderne tecnologie). Ciò che è emerso è che ognuno aveva un luogo dove si concentrava al meglio e che questo “pensatoio” era piuttosto soggettivo. Il luogo di minor produttività invece era quasi uguale per tutti: l’ufficio.