Esiste un problema generazionale che tocca tutte le aziende e strutture del mondo. Una base di giovani ultra-qualificati si scontra con un management più anziano che non sempre possiede le stesse competenze. Ora qualcuno potrebbe affermare che questo scontro sia ciclico, ma in realtà ritengo che sia unico in questo momento storico perchè per la prima volta si affacciano al mondo del lavoro i figli della globalizzazione.
Un manager un giorno mi disse: io ho fatto carriera perchè ho avuto opportunità che voi ragazzi, qualificatissimi, oggi non potreste mai avere. La mia carriera si fondò sul fatto che in Australia cercavano qualcuno disposto a trasferirsi a Jakarta a gestire il mercato locale. Sono stato scelto semplicemente perchè ero l’unico disposto a prendersi questo rischio e imbarcarsi in questa avventura. Ma per voi oggi questa mobilità è un fatto scontato. Non costituisce alcun vantaggio. Sono fortunato perchè in tutta onestà se oggi mi trovassi a competere con gente come voi, non credo che potrei arrivare di nuovo dove sono arrivato!
Vent’anni fa conoscere l’inglese, da solo, era una fonte di enorme vantaggio competitivo, capace di catapultare una persona comune in un ruolo manageriale perchè – poniamo – una multinazionale americana apriva la sede in una determinata nazione e serviva qualcuno che prima di tutto potesse parlare con la casa madre. Oggi l’inglese è una commodity. Una seconda lingua, quale per esempio lo spagnolo, offre solo un leggero vantaggio competitivo. Per avere un vantaggio rilevante occorre arrivare a una terza, magari il mandarino.
Parliamo dei titoli di studio. Prima bastava un diploma, poi una laurea e ora un master e non è detto che basti. Il problema è che le università più prestigiose di tutto il mondo hanno cresciuto il numero di laureati che sfornano e non di pari passo alla crescita dei posti di lavoro. A questo si deve aggiungere soprattutto l’esorbitante numero di laureati qualificati che escono da università in India, Cina e altre aree dell’Asia e in numero crescente anche in Sudamerica, che hanno reso il mercato globale molto più competitivo. Questi studenti inoltre spesso studiano all’estero innalzando la competizione nelle università occidentali stesse.
Il film sul social network Facebook (esempio di cosa può creare la nuova generazione) si apre con la frase: sapevi che ci sono più persone con un quoziente intellettivo da genio in Cina che l’intera popolazione degli Stati Uniti?
E’ un fatto di numeri. Chi oggi, fra i giovani, accede al mondo del lavoro è stato selezionato all’interno di un pool molto più ampio, più internazionale e più competitivo rispetto al pool da cui erano state selezionate le generazioni precedenti. Darwinismo all’ennesima potenza. E se a questo si aggiunge il gap tecnologico fra coloro che sono nati all’interno di questo sistema ipertecnologico e coloro che vi si sono dovuti adeguare e cercare di comprenderlo, risulta chiaro come ci si debba aspettare un forte contrasto generazionale in ogni struttura di qui in avanti. Giovani che cercano di farsi sempre più spazio, forti della loro abitudine alla competizione e competenza, e posizioni apicali minacciate da questa profonda diversità. Riuscire a fare di questo incontro-scontro un’arma vincente e non di distruzione è la sfida del presente. Non del futuro.
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