Disoccupazione e assistenzialismo all’italiana

disoccupatiLa prima riforma che servirebbe all’Italia è quella del cervello. Ossia di piantarla col pietismo e prendersi le proprie responsabilità. E quella di sicuro non può farla Monti. Non so se le radici cattoliche rispetto a quelle protestanti siano la causa di questo buonismo d’accatto, dello scaricabarile, della finta solidarietà coi mediocri, della colpa-sempre-degli-altri, e dell’assistenzialismo a tutti i costi. Fatto sta che è ora di raccontare le cose come stanno, smetterla di parlare dei politici, e un po’ più degli italiani.

Monster, la società americana che gestisce il noto motore di ricerca lavoro, fra le altre, organizza negli USA delle job fair, ossia giornate seminariali aperte in cui vengono offerti strumenti per una più efficace ricerca del lavoro (come costruire un C.V efficace, come e dove candidarsi ecc.ecc.), che quando scoppiò la crisi furono letteralmente prese d’assalto. Manager sessantenni, giovani operai ventenni, quadri in doppiopetto, idraulici, tutti insieme, in fila al freddo fuori dall’uscio e pronti a riciclarsi, a ripartire, a spedire centinaia di curricula. Pronti a fare “networking”, a crearsi opportunità e relazioni. Gli americani hanno molti difetti, ma vengono cresciuti con un’idea ben chiara: la tua vita è responsabilità tua. Cosa ottieni dallo Stato se non ti dai da fare? Un bel calcio nel sedere. E per di più, nella loro cultura, chi riceve il sussidio statale è considerato un parassita ed è la categoria sociale più disprezzata, come dimostrato dalle ricerche condotte sugli atteggiamenti sociali.

In Italia siamo all’estremo opposto. Tutti a lamentarsi e “piangere il morto”, con la crisi, il lavoro che “non c’è” e poi vai a scoprire che quando un ente o una società organizza un incontro gratuito per la ricerca del lavoro, molta gente ha di meglio da fare che perdere due ore ad ascoltare, scopri che quelli che si lamentano tanto della crisi non hanno ancora mandato via un curriculum (o ce l’hanno scritto a mano perché non sanno usare Word, cosa che per il 2012 in occidente è una forma di analfabetismo, ma soprattutto una colpa individuale, non sono certo vittime del digital divide) e che il tempo lo dedicano alla lotta sindacale “dura e pura” per venire reintegrati nell’azienda che – sul lastrico – li sta lasciando a casa.

Ma la colpa è sempre degli altri: dello Stato, del padrone sfruttatore, del mercato. E alla domanda: ma tu cosa hai fatto per trovare un altro lavoro? Nada. Qui casca l’asino. Siamo il paese in cui la dignità conta poco, basta magnà, quindi va bene anche il reintegro forzoso da parte di un giudice in un posto di lavoro dove ormai è venuto meno il rapporto fiduciario. Abbiamo vissuto per anni del mito del posto fisso, siamo quelli che “chi lascia la via vecchia per la nuova”, metterci in gioco non è nel nostro dna, sai com’è, potremmo fallire e noi teniamo all’immagine (negli Usa un “fallito” è uno che almeno ci ha provato..ah, questi protestanti..), siamo di un assistenzialismo terribile, qualcuno ci deve sempre qualcosa. La frase più comune di fronte al licenziamento? Ho lavorato per dieci anni per quell’azienda, non può lasciarmi a casa così. E come deve lasciarti a casa? Cosà? Ma, tranquilli, è la stessa reazione anche di fronte ai fidanzamenti rotti, viviamo di sedentarietà, diritti acquisiti, abbiamo problemi anche ad andare a lavorare a venti chilometri. “Start over again boy”, risponderebbero semplicemente oltre oceano.

E invece qui, via di casse integrazioni, usate come mobilità anticipate per aziende in fallimento, con lavoratori a zero ore, invece che essere un sostegno a un calo di produzione temporaneo, supporti al reddito prolungati per tre anni, con il risultato di ritardare la ricerca del lavoro da parte degli uscenti dal mercato, che sovente aspettano l’ultimo giorno prima dell’uscita dagli ammortizzatori, per premurarsi di spedire un curriculum e che nel frattempo non stanno acquisendo nessuna nuova competenza. Siamo pieni di personale totalmente dequalificato e fuori mercato, a cui si aggiungono politiche migratorie folli e dannose, il tutto corredato dal fatto che qui non si vive di curriculum (che è l’unica garanzia nel mondo anglosassone), ma di tempi indeterminati e tutele sindacali del lavoro esistente. Lo stesso imbuto che relega i giovani al 30% di disoccupazione (ma è certamente maggiore perché l’Istat rileva solo gli iscritti ai centri impiego), come dire: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Ed ora che per forza a taluni tocca uscire, nella nostra cultura fa comodo pensare che la colpa sia solo di qualcun altro.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.