Le commesse, al bar la mattina, sono sempre più depresse, bisbigliano sottovoce la parola che corre lungo i negozi del centro, “crisi”, per la prima volta questa unisce i sempre più rari negozi di paese, i giganteschi supermercati, le bottegucce di periferia e quelli del centro, appunto.
Bisogna dire che dall’introduzione dell’euro i prezzi sono raddoppiati, un caffè che costava mille lire ora si paga un euro, circa il doppio appunto, lo stesso non è accaduto per i salari, mentre è aumentata la disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile e si è dilatata l’area dei consumi, pensiamo solo a telefoni, viaggi ed estetica. La crisi ha da un lato la faccia di consumatori con meno soldi, dall’altra quella di commercianti strangolati da costi alti ed incassi mancati, il calo è vistoso nell’abbigliamento, ma colpisce anche l’alimentare, bar, ristoranti e non inganni la folla dei supermercati, i carrelli sono sempre meno pieni, mentre i ristoranti si riempiono solo il fine settimana.
I pellegrinaggi della moda sono un ricordo, come le resse del sabato nelle boutique, l’obbligo di prenotazione per le cene, la difficoltà di parcheggiare. Ora il centro commerciale fa un po’ paura, tra montagne di merce ci si sente ancora più poveri o disinteressati. Forse anche i commercianti sono troppi e concentrati nelle grandi città: molti italiani, piuttosto che fare i lavori appaltati agli stranieri, aprono un’attività commerciale, spesso senza preparazione e con alle spalle troppi debiti e così la vita dei negozi è scesa da cento anni a cento giorni.
Dietro il boom delle aperture non c’è la vivacità del mercato, ma l’arte di arrangiarsi o, per i grandi centri, la speculazione edilizia pompata da costruttori e Comuni. Finita la sbornia consumistica, conta ogni euro, si bada alla sostanza, al rapporto qualità prezzo: reggono le trattorie, calano i ristoranti di tendenza, i soldi risparmiati per vestiti e cibi di lusso vanno a telefoni e computer.
Cambia l’idea di necessario: sei più inserito con una diavoleria elettronica, che con un vestito firmato. Nella sfida vincono le bancarelle, sulle quali si vende di tutto: frutta e verdura, alimenti, vestiti, scarpe, la dinamica dei prezzi ricorda le Borse, tra mattina e sera scendono più volte, prima della chiusura gli alimenti in scadenza si acquistano a pochissimo, come un biglietto last minute. Non solo bancarelle in tutte le piazze, ma furgoni itineranti che servono i paesi, dove una popolazione sempre più anziana si muove con fatica, li trovi lungo le strade, come negli spazi antistanti le chiese. Un gigantesco supermercato conquistato soprattutto da cinesi ed altri stranieri. “Nelle fasi di mutamento storico – dice la sociologa Martinengo – si affermano fenomeni nuovi. La struttura classica come la città-mercato, respinge.
Da ciò nascono i gruppi d’acquisto solidali, i mercati dei contadini, gli ambulanti. I diritti della società e quelli della natura iniziano a ricomporsi” Inoltre la tecnologia, attraverso le compravendite online, può annullare la distanza tra nuovi produttori e consumatori maturi, negli Usa a causa di questo cambiamento sono previsti un milione e mezzo di nuovi posti nei trasporti.
La scienza dello scaffale deve cambiare, così come la pubblicità: molte idee, come molte strutture, nascono vecchie, come vecchie sono le politiche commerciali.
Si dirà: meglio tardi che mai, anche se nel commercio il tardi si trasforma rapidamente nel nulla.
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