Berlusconi e il Milan alla frutta

t_ac_milan_caricature_e_vignette-5857080 Per vent’anni abbiamo affidato le sorti dell’Italia a un signore che, diceva lui, con la politica non aveva niente a che fare, ma con l’economia, sì. Nacque il mito del self made man di successo e tutti a cantarne le lodi, anche molti suoi avversari politici, che magari dissentivano dalle idee, ma non si permettevano di contestarne le capacità imprenditoriali.

Ora, non per dire, molte cose che ha intrapreso sono state redditizie e ha conseguito splendidi risultati, ma la gestione no, quella non era pane per i suoi denti, alla fine i nodi sono venuti al pettine.

Il signore in questione è Silvio, i risultati non sono venuti da Mediaset, che anzi è stata salvata proprio dal suo scendere in campo, sennò col cavolo che Geronzi gli collocava 4.500 miliardi di lire di debiti a lungo termine, visto che nel frattempo uno dei suoi amichetti (lui sì politico) era “sparito” in Tunisia, quindi intercessioni zero presso governi presenti e futuri.

Non parlo neppure di Mediolanum, che Doris ha sempre guidato come gli è parso e che quando Silvio voleva far cassa ha detto: accà nisciuno è fesso, tieni botta e trova il contante da altre bande, tanto in questo sei bravo, visto che anche tu come me, vieni dal nulla.

Parlo del Milan, lo ha comprato a pezzi e per una pipa di tabacco, ha cambiato le regole del gioco, ha investito in un allenatore Carneade, Sacchi, che ha sparigliato il mazzo. Gli ha detto chi e cosa gli serviva, lui puntualmente ha provveduto e la squadra è diventata la più titolata del mondo : gli scudetti come se piovesse, poi le champions a grappoli e ancora di più se avesse tenuto Sacchi come consiliore e non si fosse affidato a rubagalline che hanno intrallazzato con i manager dei giocatori. Ora il Milan è a pezzi, poi magari una manina per andare in Europa cercheranno di dargliela, ma l’isteria è alle porte. La Barbara voleva un posto e una visibilità come gli altri figli e quindi ha preteso di essere AD, di calcio capiva quanto le spiegavano al Number One (alla voce foto pagate a Corona) o tra le lenzuola (alla voce Pato), quindi in sei mesi ha mandato a stendere tre allenatori: Allegri (ora primo con la Juve), poi Seedorf (che come sempre ha detto quello che pensava) e infine Inzaghi (che ormai, cercate le foto, segue le partite con un rosario in mano).

Tra non molto si saprà chi compra e quanto paga, intanto sta guardando i conti (alla voce prima vedere soldi, poi vedere cammello). Non risultano cene eleganti e olgettine in fermento, solo grigi ragiunat che spulciano bilanci e chiederanno puntualmente spiegazioni di giocatori strapagati e mai pervenuti o di altre piccole magagne. O forse no. Alla fine arriverà qualcuno che vuol fare business e non essere il re della tribuna. Sono finiti i tempi degli Abramovich (a proposito Silvio ci aveva provato con Putin, ma si è trovato con il due di picche in mano). Ora è il tempo dei Tohir. Almeno per l’Italia. Da noi quelli col grano da buttare non vengono. Noi non abbiamo passerelle importanti, siamo provincia e quindi ci toccano quelli che vogliono guadagnare. Non siamo più nel giro buono. Lo saremmo forse se non avessero fatto scuola i Carraro, i Moggi, i Galliani e non avessimo il sor Tavecchio a capo del nostro calcio.

Quindi adieu, caro Milan e chissà che non cominci una nuova vera avventura.

Alla famiglia Berlusconi, che dire ? Sono stati una meteora che ora deve fare i conti e non le contesse come quando avevano il mazzo in mano e davano le carte. Quanto fossero bravi ce lo ricordavano all’estero (alla voce Sarkò e Merkel) e tutte le grugnate prese negli investimenti di Mediaset nel mondo. Che strano, guadagnavano solo qui, fuori mai. Invidia, dite ? Allora non mi sono spiegato, ma voi credete ancora a Babbo Natale?

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