In questo anno senza precedenti, tutti noi ci siamo ritrovati ad affrontare situazioni alle quali non eravamo preparati e per cui non avevamo risposte preconfezionate.
Capita dunque che – in particolare nel mondo del lavoro – le misure messe in campo, dalle aziende, dai governi e da tutti i soggetti coinvolti siano state disparate, a volte confuse, e spesso di natura diversa dal passato: licenziamenti, tagli temporanei di stipendi, obblighi di non licenziamenti, sussidi, divieti di viaggio, quarantene, eccezioni, nuove leggi e regole e via discorrendo.
Una frustrazione comune nei confronti di aziende e governi, è spesso la percezione di una gestione del problema non sufficientemente professionale. Sia per i governi, ma in particolare fra i lavoratori, ciò che sta facendo la differenza nel tenere a freno la grande insoddisfazione che questo contesto ha generato è proprio la percezione di misure introdotte in modo ‘professionale’.
Mi sono domandato – ad una analisi più profonda – che cosa significhi in questo contesto, e in generale, fare le cose in modo ‘professionale’. E mi sono dato una risposta semplice ma per certi versi sorprendente.
Fare le cose in modo professionale significa – prima e soprattutto – fare le cose in modo etico.
Pensiamoci un momento. Se andiamo da un medico e ci rivolgiamo dunque a un ‘professionista’ e non ad uno sciamano o un guaritore auto-proclamatosi tale, è prima di tutto perché partiamo dall’assunto che il medico ha fatto il giuramento di Ippocrate e che ha un approccio etico alla professione: tutelare prima di tutto la nostra salute a discapito del proprio profitto e informarci correttamente dei rischi stabiliti secondo un approccio scientifico.
Quei medici che prescrivevano chirurgie non necessarie ai pazienti per il proprio profitto, oltre che criminali, potevano forse essere definiti professionisti?
Allo stesso modo pensiamo ad un calciatore. Se Cristiano Ronaldo facesse continue simulazioni, facesse falli intenzionali e cattivi sugli avversari o si dopasse, lo considereremmo il grande professionista che invece è?
Per questo motivo esistono professioni regolate da un codice etico. Perché è l’etica a fare la professionalità. Eppure in tutti i campi, e in particolare in momenti come questi, c’è sempre chi prova a fare il furbo, ad approfittare delle persone e situazioni, a confondere le acque o a fregarsene degli altri e fare scelte di comodo con poca etica. Non in tutte le aree esiste un codice deontologico predefinito e sta alle scelte individuali se intraprendere un corso etico, e dunque professionale, o il contrario.
Se queste scelte opportunistiche di breve termine possono portare qualche vantaggio, non dimentichiamo che nel lungo termine, anche il business si fonda sull’etica.
Non a caso le nazioni dove il sistema giudiziario è disastroso, dove la corruzione galoppa e dove un’impresa non può fare affidamento sul comportamento etico degli altri soggetti, per esempio di ricevere i pagamenti in tempo, beh questi stati non sono attrattivi per i business e nel lungo termine pagano un prezzo in termini di competitività.
Spesso si dice ‘business is business’ come a sottolineare un approccio egoistico, arido e poco portato all’etica, ma la realtà è il contrario.
Chi non paga, chi fa frodi, chi strozza i fornitori, chi fa default sul mutuo o su un bond, chi scappa con la cassa, sia esso individuo, impresa o Stato, alla lunga si crea una pessima reputazione, o un “credit score” negativo e non crea le premesse per un business di lungo termine. Ma in definitiva, nessuno di questi comportamenti risulta “professionale” per i clienti, i dipendenti, i fornitori e la società.
Quando andiamo da un grande studio legale così come quando entriamo in un negozio Apple, ci aspettiamo un servizio e un prodotto “professionali”, che non violano le nostre attese e il patto di fiducia implicito che abbiamo con quel brand.
Un esempio eclatante è stato di recente l’attesissimo videogame “The Last of Us 2”. Non solo la casa produttrice ha erroneamente fatto trapelare un filmato pieno di spoiler, ma poi è stata sorpresa a fabbricare finte recensioni positive del gioco sul Playstation store ancora prima dell’uscita. Nonostante il gioco sia poi stato un prodotto di alto livello, i fan infuriati hanno fatto partire una campagna di boicottaggio, tra cui moltissime recensioni negative, che ad oggi costano al titolo un punteggio molto basso nello store e che resterà tale per anni a venire.
In momenti complessi come questi, a volte è meglio ridurre la marea di informazioni a concetti semplici per ritrovare la rotta e questo concetto mi è parso semplice quanto chiaro: per dare risposte “professionali” occorre domandarsi semplicemente quali siano le scelte più etiche.
Si badi bene che le scelte etiche possono anche essere a volte le più dure e quelle che scontentano i più, almeno nel breve termine. Molte reputazioni si creeranno (o distruggeranno) dalle risposte che si mettono in campo in questo periodo, e chi si trova in una posizione di decisionale (nel grande e nel piccolo), non può pensare di prescindere da questa semplice domanda.
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