Una storia reggiana ci consente di parlare del nuovo notabilato delle cooperative sociali. C’era una volta la Dimora di Abramo, cooperativa cattolica, che annoverava tra i fondatori: don Giuseppe Dossetti, figlio di Ermanno, deputato Dc e nipote di don Dossetti, padre Costituente, don Morlini, prete missionario e don Simonazzi sacerdote degli ultimi, nonché Giulio Iotti, antesignano della cooperazione sociale. La dimora era allora una piccola capanna, piantata sulla frontiera del bisogno, qualsiasi bisogno, e i suoi operatori non si “vergognavano” di chiedere sostegno per le loro attività. Col tempo, come molte altre cooperative sociali, la Dimora diventava sempre di più un organo sussidiario degli Enti locali, legata al potere politico, dispensatore di denaro. Con la nascita del Pd, le cooperative sociali cattoliche sono diventate il serbatoio elettorale della componente ex democristiana, anche fornendo uomini per il consiglio comunale o assessori, come Marchi, l’attuale responsabile del bilancio, o addirittura promuovendo liste di sostegno alla sinistra, come fatto dal responsabile della Giovanni XXIII, Iori, speculari in questo alla cooperazione rossa. Una metà circa degli assessori della giunta di Reggio Emilia provengono o gravitano attorno alla cooperazione, a cominciare dal sindaco e dal suo vice. Insomma, pur con molti cambiamenti, Abramo abitava ancora nella sua Dimora. Tutto è cambiato con l’ondata dei profughi e col fiume di denaro che li accompagna, la dimora ha cominciato a guadagnare danaro e la nuova dirigenza, anziché destinarlo alle opere di misericordia, ha pensato di distribuirlo ai soci, le proteste dei fondatori hanno bloccato la distribuzione dei pani e dei companatici, ma ne hanno pagato pegno. Prima don Dossetti, poi don Morlini, infine Giulio Iotti hanno dovuto “spontaneamente” lasciare la cooperativa, denunciando la cacciata di Abramo dalla sua Dimora. Il tutto nel silenzio dei loro figli spirituali, come il ministro Delrio e l’onorevole Castagnetti. Intanto i milioni per gli immigrati continuano ad arrivare e siamo certi che arriveranno anche i premi che in gergo capitalistico definiremo di “produzione”. E’ il capitalismo bellezza, è il concetto di guadagno, che distribuisce stipendi e premi, sia manifatturiero o sociale, sia libera impresa o assistita dalla politica, il denaro non ha colore, né, come diceva l’imperatore Vespasiano, odore. Diciamo che Abramo è stato cacciato di casa dal figlio Isacco, magari perché era leggermente arrabbiato per quella storia in cui stava per essere sacrificato a Dio o semplicemente perchè questi nuovi notabili della cooperazione sociale, che non hanno vinto alcun concorso, ma arrivano per chiamata, loro dicono divina, ma pensiamo sia politica, non hanno semplicemente il passato, poco futuro e molto presente e non sbagliano a calcolare che la capanna conteneva meno immigrati dell’albergo e non ci risulta che Abramo vivesse in albergo. Ai soci fondatori non resta che pregare perché il Signore allarghi la cruna dell’ago, perché qualcuno dei loro discepoli possa passarci e se si allarga ne potremo usufruire anche noi, piccoli borghesi, assieme ai banchieri e ai notai che sono la spina dorsale del PD. Per quel poco che serve, a loro va il mio grazie per il lavoro fatto, per aver presidiato quella frontiera quando era scomoda, ma i tempi cambiano e il passato purtroppo è un fardello e soprattutto non porta premi di risultato.
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