Il Giappone, terra di tradizioni millenarie e modernità avanguardistica, affascina i visitatori di tutto il mondo per la sua cultura unica, e in un recente viaggio mi ha inondato di riflessioni ma ancor più domande, che in un articolo posso forse solo abbozzare.
In Giappone, la cura e l’attenzione al dettaglio sono evidenti ovunque. Dai ristoranti agli alberghi, dai negozi alle strade, tutto sembra essere progettato e gestito con una precisione meticolosa. Questo è il risultato di una cultura che valorizza la professionalità e la dedizione al proprio lavoro. Ogni individuo, che si tratti di un cuoco, un commesso o un ferroviere, si sforza di eseguire il proprio compito con la massima competenza.
Un esempio eclatante dell’efficienza giapponese: sulla tratta ferroviaria Tokyo-Osaka, che trasporta 360,000 persone al giorno, l’accumulo di ritardi di tutti i treni in un anno è di due ore e 22 minuti. Per realizzare un simile miracolo di efficienza, non basta una pianificazione dall’alto, ma occorre la totale dedizione di ogni singolo partecipante del processo, verso l’eccellenza.
Il Giappone è inoltre un paese tecnologicamente avanzato in molti aspetti, ma il progresso non è limitato alla solita esplosione di app e software – spesso futile – tipica del mondo americano: si riscontra una tecnologia orientata a migliorare la qualità di vita nel quotidiano. Per esempio, una robotica avanzata è di utilizzo comune nelle cucine per garantire una preparazione dei piatti impeccabile e una cottura del riso precisa.
A volte mi domando come sarebbe stato il mondo globalizzato se l’influenza culturale e la guida prevalente fossero state giapponesi anziché americane. La cultura americana è molto orientata al marketing e all’individualismo, mentre il Giappone brilla per la sua enfasi sulla collettività e la qualità del servizio erogato.
Sebbene gli Stati Uniti abbiano raggiunto picchi di eccellenza militare e tecnologica, sono evidenti i problemi strutturali del vivere quotidiano, come il caos di un sistema trasporti datato e inefficiente fra ritardi e continui problemi sia delle metro, che di treni e aerei, la scarsa pulizia in molte città e la qualità alimentare spesso deludente e malsana. Questi fattori sollevano domande sul reale “faro di civiltà” che rappresentano se poi il vivere quotidiano si traduce per molti in esperienze frustranti.
Il grado di civiltà giapponese si riflette anche nella tranquillità delle sue metropoli. Camminare fra le ampie strade di una megalopoli come Tokyo, risulta un’esperienza rilassante nonostante i milioni di persone: non vi è infatti inquinamento acustico, non sentendosi schiamazzi nè clacson, e manca quella tipica frustrazione e aggressività dei pendolari a passo veloce che si respira nelle nostre metropoli. All’interno della metropolitana, il silenzio è così profondo che sembra di stare in una biblioteca e risulta imbarazzante e irrispettoso anche pensare di lasciare un messaggio vocale. I giapponesi poi mantengono i valori tradizionali, e si presentano al lavoro vestiti inappuntabilmente secondo canoni classici. A noi occidentali, ormai adagiati sullo smart work, e che passiamo in mutande dal computer alla cucina senza soluzione di continuità, la loro vita fatta di una laboriosa preparazione mattutina unita ad un lungo tragitto in treno per raggiungere la città, potrebbe sembrare inutilmente stressante. Tuttavia vedere questa eleganza generalizzata , trasmette un senso di decoro, autodisciplina, bellezza, orgoglio per la propria nazione e dignità’, che potrebbe farci domandare se alcuni vecchi costumi e rituali su cui avevamo fondato anche le nostre tradizioni per decenni, non fossero poi tutti orpelli da eliminare in nome dell’efficienza di una vita digitale, senza il rischio di scadere in un imbruttimento collettivo, sia etico che estetico.
In chiusura, il Giappone ci spinge a riflettere sulla natura della civiltà stessa e a mettere in discussione ciò che consideriamo “civilizzato”. Le virtù giapponesi mettono in dubbio l’idea che il consumismo o l’individualismo siano gli unici corollari possibili di una società avanzata. Occorre anche ricordare che il Giappone ha compiuto anche scelte politiche in controtendenza con l’agenda globalista, fra cui una forte difesa delle proprie radici culturali, in un mondo che sempre più rinuncia ad esse, la chiusura all’immigrazione (in Giappone a trapanare strade vedi solo Giapponesi, a Singapore per dire non ci vedrai mai un Singaporiano) sacrificando anche la crescita del PIL a tutti i costi come dogma. Un mondo globalizzato a immagine e somiglianza del Giappone piuttosto che quello americano forse ci avrebbe potuto offrire una prospettiva in cui la qualità della vita e la coesione sociale avessero pesi specifici diversi, dove la qualità del servizio e del prodotto prevalesse maggiormente sulla narrazione del medesimo, un mondo forse anche meno improntato all’egocentrismo dirompente, al marketing onnipresente nella vita quotidiana, l’autopromozione costante di se stessi, l’apparenza sopra la sostanza. Che sono alla fine i corollari del modello a stelle e strisce; un modello che attraverso pochi alti picchi di eccellenza, ma anche tantissima fuffa, e con l’uso della propria forza militare, del controllo globale di finanza e media, ha imposto l’egemonia culturale di un 5% degli abitanti della terra anche su gran parte degli altri.