C’è un destino scritto o l’uomo è l’artefice della propria fortuna?
E’ una domanda che assilla l’umanità da secoli e ognuno ha la propria filosofia di vita, c’è chi crede nelle coincidenze, nei piccoli segnali e chi cerca di piegare il fato alla propria volontà a dispetto di tutto. C’è chi segue la corrente e chi prova a fermare anche il vento con le mani.
Che si creda nella predestinazione o nel libero arbitrio, quel che è certo è che da un imprenditore ti aspetteresti sempre la seconda opzione. Insomma, lo stesso concetto di fare impresa, lo dice la parola stessa, è un’impresa. E’ difficile. L’impresa è un tentativo di assoggettare il caos, la casualità, il disordine universale ad una logica imposta, ad una volontà individuale, piegando il mondo materiale, fatto di atomi e spazio vuoto, ad un disegno che altro non è se non un’idea, una connessione di scariche elettriche fra i neuroni.
Eppure Steve Jobs, l’enigmatico, ancor più che carismatico, CEO di Apple, è in questo senso un imprenditore unico. Colui che ha lottato più di ogni altro contro il destino, prendendo decine di aerei e sottoponendosi a ripetitivi check-up in ogni stato americano per curare la malattia, è in realtà un profondo devoto del destino, un convinto credente della predestinazione.
Ora che magro e sofferente abbandona la guida della sua azienda, fra la tristezza dei fan (Jobs non è stato solo un CEO, ma una star) e le perdite del titolo in borsa, riecheggiano ancora più forti alcune delle sue parole nel celeberrimo discorso all’università di Stanford.
“Non avevo idea di cosa volessi fare della mia vita e nessun indizio… così decisi di mollare l’università confidando che tutto sarebbe andato per il meglio… guardandomi indietro ritengo sia una delle migliori decisioni che abbia preso. Tutto quello in cui inciampai, seguendo la mia curiosità ed il mio intuito si rivelarono in seguito di un valore inestimabile… seguii un corso di calligrafie…fu meraviglioso… Nessuna di queste cose aveva però alcuna speranza di trovare alcuna applicazione pratica nella mia vita. Ma dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Mac mi tornò tutto utile. E’ stato il primo computer dotato di una magnifica capacità tipografica… certamente all’epoca in cui ero all’università era impossibile unire i puntini guardando il futuro… ma tutto divenne molto chiaro guardandomi alle spalle. Dovete avere fiducia che, in qualche modo, in futuro, i puntini si possano unire. Dovete credere in qualcosa, il vostro intuito, il destino, il karma, la vita, qualsiasi cosa”.
Steve Jobs, l’imprenditore che ha sempre creduto nel destino, predicando di seguire solo il cuore, l’intuito, le passioni, nella speranza che poi le cose si combinino per il meglio. Lui che fu licenziato dall’azienda che aveva fondato e che seguendo solo la propria passione, la tecnologia, fondò quelle che sono Next e Pixar. Lui, a cui il destino dette la chance di ritornare capo di Apple quando questa acquisì proprio la Next, la cui tecnologia diede nuovo impulso all’azienda. Steve Jobs, il simbolo di quella che è stata (ed è) l’America di successo, quell’America protestante che crede nella predestinazione, nell’ottimismo e nei sogni. Lui che per i giovani non ha altro consiglio che il saper sognare, quando dice: “siate affamati, siate folli”.
Steve Jobs, che anche in quest’ultima sfida contro la malattia dice: “credo che i giorni migliori e più innovativi per Apple saranno quelli a venire. E non vedo l’ora di assistervi, contribuendo al successo dell’azienda in un nuovo ruolo”.
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