Sport con il cervello?

prandelli_abeteHo visto un bellissimo film, “Moneyball”, dove Brad Pitt impersona il general manager Billy Beane, che a fine anni novanta rivoluzionò il mondo del baseball americano, introducendo un metodo scientifico e quantitativo nell’analisi dei giocatori.

L’affascinante storia racconta di come quel direttore sportivo abbia sfidato l’intero establishment del baseball che rifiutava questo approccio, intrappolato com’era nell’idea (dominante tuttora nel calcio italiano peraltro) che i depositari della conoscenza siano solo gli insider e che il gioco non possa essere ridotto ad un insieme di variabili. Beane invece assunse un giovane laureato in economia di Yale e con il suo lavoro matematico sbugiardò tutti, portando la squadra di Oklahoma a centrare la striscia di vittorie più lunga di tutti i tempi, con giocatori scartati dai top team, principalmente perché di poco appeal o “stile” o perché poco personaggi e con un budget tra i più bassi della lega.

L’approccio opposto, condito di tratti di demenza totale imbriglia invece il calcio italiano, dove vieni giudicato “forte” principalmente se esci con tante veline e stai spesso sui giornali, ma nessuno conosce mezzo dato numerico sulle tue prestazioni. Per esempio, appena ho guardato le convocazioni di Prandelli ho pensato che il piastrone di gel gli deve aver fatto traspirare poco il cervello perchè c’erano alcuni errori elementari e che richiedono ragionamenti poco più in là dell’insiemistica.

La prima osservazione che ho fatto è stata: ha solo tre centrali di difesa, in compenso ha convocato quei tre o quattro centrocampisti pippe in più (Diamanti, Giaccherini, Montolivo & co.). Ora si ritrova senza difesa per infortuni. Non ci voleva un genio, è semplice matematica: ne hai solo tre...

L’altra osservazione era sull’attacco: la mitica coppia che suggestiona i media è composta da un lungodegente, e da un altro che su azione quest’anno non è arrivato a dieci goal. Ma per tutti è “tanto forte”. Giocava in una squadra dove tutti hanno segnato più di lui su azione, quindi è tecnicamente sotto media, ma siccome fa il cretino in giro ed è personaggio, è forte. E lo vogliono tutti. Non ha ancora fatto una stagione in carriera da 15 goal su azione. Ma le statistiche da noi non contano un tubo. Nessuno in Italia ha mai fatto un’analisi dei goal decisivi, nessuno si occupa nemmeno di scorporare i rigori (se togliessimo a Ibrahimovic entrambi, scopriremmo che segna meno della punta media). Nessuno fa un compendio tra goal segnati e goal “sottratti” a seconde punte (idem come sopra). Insomma, siamo al medioevo.

Negli interessantissimi contenuti extra di Moneyball, viene intervistato Beane stesso che racconta come il suo metodo sia stato in breve tempo integrato nei board decisionali di ogni compagine della Major League e oggi sia un perno di tutto lo sport professionistico americano. Insomma, un innovatore e un sistema che tende a progredire.

E sempre nelle interviste, però si notava qualcos’altro: Beane ha oggi cinquant’ anni, è vicepresidente del club e fece la sua rivoluzione a trenta. Il produttore del film a occhio era sui quaranta, così come il regista. Responsabili di costumi, scenografia e altro, tutti intorno ai trenta. Visi accesi, brillanti, aperti alla novità. Insomma, non ho visto Abete, Carraro, Pescante…

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