Di Riccardo Caselli
Fino a poco tempo fa, la risposta standard alla domanda “chi è un personaggio che ti ispira?”, fosse una intervista ad un manager o alla reginetta del concorso di bellezza, era sempre: Elon Musk. Ne sapevano poco o nulla, ma Elon Musk era come la pizza, una di quelle cose che mette d’accordo quasi tutti.
Perché allora adesso Musk è l’uomo più odiato della rete, particolarmente su Linkedin? Semplicemente si è messo un totem ancor più amato dal main stream: il lavoro da casa.
Premesso che sono altamente favorevole a forme di lavoro quantomeno ibride e trovo che se gestito in modo corretto anche il lavoro da remoto sia un’evoluzione straordinaria, mi pare però che ormai una pletora di lavoratori viziati abbia perso di vista cosa voglia dire davvero “lavorare”.
Twitter è un’azienda che ha perso oltre un miliardo di dollari nel 2020 e oltre 200 milioni nel 2021. I lavoratori meno pagati guadagnavano oltre centomila dollari annui. Per anni abbiamo vissuto in tempi di finanza allegra, moneta stampata come soldi del Monopoli, metriche creative per giustificare valutazioni di borsa assurde e probabilmente si è persa di vista la logica semplice e fondamentale a cui alla fine bisogna sempre far ritorno: un’azione vale quanto il cash che in futuro dovrà dare ai propri azionisti. Pare che questo scollamento dalla realtà abbia coinvolto non solo i mercati finanziari ma il mondo del lavoro.
Un dipendente può non condividere che la soluzione alle perdite di Twitter sia tornare in ufficio. Ma per centinaia di migliaia di dollari, con metà del mondo tech che sta licenziando, e rendendosi auspicabilmente conto di stare lavorando per un’azienda in totale e tardiva ristrutturazione, se non sull’orlo del fallimento, io direi che se sano di mente, probabilmente non “picchetta” su Linkedin, non si licenzia senza un altro lavoro, non straparla di “salute mentale”, non fa il social justice warrior. Magari si lamenta un’ora con la moglie e poi si infila in metro e corre. Anche quando non condivide la linea del capo.
Uno dei punti di forza dell’America era proprio lo spirito di sacrificio. Ricordo una ragazza che lavorava in un bar di Manhattan, perché in un ciclo economico sfavorevole aveva perso il lavoro presso una media company. Poco dopo fu assunta dalla Warner Bros e si tenne comunque il lavoro part-time come barista perché “con quel che costa la vita a New York, qualche dollaro in più non fa mai male”.
Oggi mi pare che l’America ragioni un po’ come l’Italia di qualche tempo fa. Quella del lavoro fisso, garantito, come diritto, in barba alle regole di mercato. Tutte parole e richieste sacrosante, ma che non tenevano conto di una ineluttabile verità: il posto non potrà mai essere fisso, se non è fissa l’azienda, che per pagarlo deve fare utili in un mondo competitivo.
A forza di fomentare per fini politici minoranze e generi, gli USA peraltro hanno aggravato il problema. Fra i commenti social degli americani contro Musk, noto soprattutto gente che ormai si è abituata ad avere il lavoro assegnato (o creato senza che nemmeno serva) per riempire questa o quella “quota”, gente poi abituata a dare sempre la colpa della mancata promozione al patriarcato o alla razza e vittimismi di sorta, piuttosto che lavorare sodo. Mentalità che ad esempio gli asiatici non coltivano, e non a caso smentiscono questa narrazione conquistando maree di dottorati nelle migliori università e piazzando 45 CEO indiani tra le aziende del Fortune500.
Se penso a mio nonno, veniva da una generazione che non poteva dare nulla per scontato e per mettere un piatto in tavola, doveva andare a caccia e coltivare un campo. E’ con quell’ etica del lavoro che hanno ricostruito l’Italia nel dopoguerra. Oggi viviamo un’era molto più fortunata, ma o l’azienda va “a caccia” e porta a casa la preda, o non c’è da mangiare per nessun dipendente. Non si può pensare di vivere in un mondo di carta, promesse labili di profitti futuri, tassi negativi, e buyback azionari all’infinito.
Le aziende del manifatturiero, o le PMI, sono spesso più attente a margini risicati e costi da tenere sotto controllo, sono meno sexy in borsa e dunque, pur coi loro difetti, restano spesso leggermente più ancorate alla dura realtà della sopravvivenza. Ma l’America così sbilanciata sull’high-tech e nel terziario si è ritrovata a elargire lavori “fuffa”, mentre si ritrova con infrastrutture che confronto a vari paesi asiatici la fanno sembrare terzo mondo, ed ora potenzialmente pure con migliaia di lavoratori che non solo non andrebbero mai a sistemare quelle rotaie, ma che trovano quasi offensivo spostare la loro scarsa produttività dal tavolo di casa ad una scrivania di San Francisco brandendo parole come “salute mentale”, “bilanciamento vita-lavoro” o “burn out”.
Il bilanciamento vita-lavoro è assolutamente giusto, ma occorre prima chiarire in cosa consista il lavoro. E vale allora la pena ricordare una famosa domanda di Marchionne che trovò gli uffici vuoti ad Agosto, perché le persone erano tutte in ferie mentre l’azienda perdeva cinque milioni al giorno: “in ferie… da cosa?”.
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