Singapore, il senso civico indotto

vuon-thuc-vat5 Reduce da un viaggio a Singapore, vorrei fare qualche considerazione. La Città è molto pulita, dai marciapiedi, ai parchi, ai centri commerciali, alla metropolitana, che pare un salotto delle migliori residenze occidentali, al vastissimo aeroporto internazionale, il cui pavimento è interamente ricoperto da moquette. Tutto funziona alla perfezione, dalla consegna della spesa a domicilio, alla puntualità dei servizi pubblici, dei taxi e di Uber, alla ristorazione, dove ti versano ovunque l’acqua anche del rubinetto nel bicchiere, sempre con un sorriso stampato sulle labbra. La città, con il suo aspetto attuale, al di fuori dell’assetto coloniale, costruito dall’inglese sir Raffles, non ha più di cinquant’anni, è stata la palestra delle più ardite esercitazioni di famosi architetti internazionali, con risultati esaltanti, e convive brillantemente per contrasto con le raffinate casette di fine ottocento- primi novecento, dei cinesi emigrati in quella terra malese e sposati con le donne del luogo. E poi giardini ovunque, piante rigogliose, fiori, soprattutto orchidee, facilitati dal clima caldo umido. Aree attrezzate all’aperto per fumatori, caratterizzate da grandi contenitori posacenere, in quanto se lasci cadere la cenere a terra, i mozziconi di sigarette e le chewingum, sono guai. Polizia in borghese che sorveglia l’ordinato scorrere della vita di turisti e cittadini, confort di ogni genere, dai bar lussuosi ai negozi grandi firme, centri commerciali eleganti e immensi, mescolati ai quartieri di Chinatown, Little India, arabo, con botteghe artigianali, cucine locali e prezzi abbordabilissimi. Salendo sul taxi campeggia una scritta che ti spiega che se non paghi la prima corsa, incorri in una multa, la seconda una più salata e la detenzione a sei mesi di reclusione. Sul tavolino di un bar c’è scritto che se rompi qualcosa devi pagare l’equivalente di sette euro, il tutto perfettamente spiegato nella ufficiale lingua inglese, non in malese, per cui non puoi far finta di non capire. Allora, dopo tutto ciò, ho desunto che Singapore funziona alla perfezione perché il cittadino ha la certezza della sanzione, che ti viene comminata senza tanti se e senza ma, per questo tutti rispettano le regole . E’ triste e banale dirlo, perché l’uomo alla fine funziona in modo semplice: per la paura di finire al fresco, poichè in quella terra strappata pochi decenni fa alla giungla, succede veramente, anche per i piccoli reati. In Italia nessuno teme le sanzioni, certo incorri in una multa se hai lasciato l’auto nel parcheggio dieci minuti in più dell’orario per cui avevi pagato il ticket, e lì ti perseguono davvero, per rimpinguare le casse municipali, ti mandano a casa lettere, il messo comunale, fino ad arrivare al giudice di pace, se sei convinto di avere una qualche ragione. Ma se insulti il guidatore del tram, imbratti il parco o i muri della città, vieni rapinato per strada da un malvivente, stai sicuro che non succederà proprio nulla di significativo per chi ha commesso il reato o l’infrazione. Ecco perché la distanza tra noi e Singapore non è solo di tredicimila chilometri in senso geografico, ma di anni luce nel senso civico, seppure esso sia indotto dalla certezza della pena, se sgarri.

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