Roger Federer e il tennis, molto più di un gioco

Federer Non credete a quanti vi dicono che lo sport è solo un gioco o uno spettacolo e non vi vedono poesia, filosofia, l’essenza della vita stessa.

Io amo lo sport, in particolare il tennis, per storie come quella di domenica scorsa a Wimbledon. Mi sono recato in un bar per vedere un mio idolo, Roger Federer , trentadue anni, affrontare Novak Djokovic, di sei anni più giovane, affamato di riscatto dopo varie finali Slam perse. Questa è l’era di Djokovic, un campione staordinario, fisicamente straripante, nel fiore dei suoi anni, che tra breve diverrà papà per la prima volta. Federer rappresenta l’epoca che è stata, di un tennis vellutato ormai scomparso che solo lui ha saputo coniugare con un atletismo non muscolare, ma felpato, per ibernarlo ancora un po’ ed allungargli la vita fino ad un’ epoca che non gli appartiene. Il campione svizzero papà lo è invece diventato per la seconda volta, dopo le due gemelline, questa volta due gemelli maschi. Come dire, cos’altro ha da chiedere, non solo alla sua carriera (17 slam e infiniti record), ma anche alla vita?
Eppure domenica è sceso in campo aggrappandosi alla partita in ogni modo, con una fame di vittoria che non avrebbe nemmeno un diciannovenne alla sua prima finale sui prati inglesi. Dal primo game ho capito che non avrebbe mai potuto vincere quella partita perchè Djokovic, dopo due settimane poco convincenti, era semplicemente indomabile. Questo in fondo è il suo tempo, il suo regno. Eppure Federer è riuscito nella magia di insinuare per tutta la partita un dubbio, un barlume di speranza, quella fede che spiazza ogni razionalità, vera essenza di ciò che ci rende umani. Si è arrampicato a fatica sul primo set, pur facendo meno punti e quando si è trovato sotto al quarto per 5-2 con Djokovic che serviva per il match, è successo ciò che nessuno si sarebbe aspettato. Una clamorosa rimonta fino a 7-5 per portare la partita al quinto. A quel punto era quasi legittimo credere, sperare.. .e se ora con un colpo di fortuna strappasse un servizio e andasse addirittura a vincere? E invece l’inevitabile epilogo: amaro, forse, ma grandioso. In quella partita c’è il sunto della vita, della filosofia e del mito. Federer l’eroe, che cerca di sfuggire ad un destino scritto e inevitabilmente soccombe, ma proprio nella lotta ribelle contro la predeterminazione, esprime l’essenza del libero arbitrio e mostra al mondo la sua grandiosità, così non è un caso che il giorno seguente i giornali parlassero più di lui che del vincitore serbo. In fondo ogni uomo non sa di dover morire? Eppure in cuor suo c’è forse uno spiraglio di dubbio, perché questa conoscenza è solo mediata, non ne ha sentore immediato e quindi lotta, agisce e insegue i sogni come se in fondo fosse immortale. Vede gli altri morire e quindi sa che toccherà anche a lui, ma non né intimamente convinto fino alla fine. Ed è in quel dubbio costante, in quell’illusione durata quattro ore, che sta l’illusione della vita intera, sintesi inscindibile degli opposti, di una grandiosità che non sarebbe tale se appunto non si compenetrasse della resa finale. E tutto questo è Roger Federer, il tennis, molto più di un gioco.

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