Resistenti o impermeabili?

Pensavo a noi italiani e partendo da resistenti trovavo molto difficile decidermi se lo fossimo o meno. Nella storia abbiamo pochissime storie in cui abbiamo resistito ad invasioni o soprusi, di solito ci siamo adattati. Anche solo pensando al fascismo, che poi era una dittatura da operetta, basti guardare il duce(tto) e il suo epigone (il re) e ti viene in mente più l’opera dei pupi che non il disastro che ne derivò per lo sciagurato avvento di un altro ben peggiore duo (Hitler-Stalin). Se si guarda poi la storia a noi molto prossima (e contigua cronaca), non abbiamo esitato a farci guidare dal peggio che la politica potesse esprimere. Non solo a livello nazionale, ma anche a livello locale erano i Cetto La Qualunque (Albanese) a farla da padroni-padrini tanto è vero che non hanno resistito un millisecondo ad adattarsi a garanti delle mafie. E questo al sud, al centro e al nord. Non c’é regione italiana che si salvi, sempre che ci siano giudici che abbiano voglia di indagare. Ora è agli occhi di tutti, ad esempio, che questo governo sia l’espressione di tutto, fuorché di una voglia di governare, o almeno far finta. Sembra una specie di macchinina telecomandata, e poi che il telecomando l’abbia Renzi non é nemmeno detto, perché anche lui, nella voglia di apparire il bisunto (che qui non vuol dire unto due volte) del Signore, mi pareva un po’ tanto telecomandato.

Ragionavo quindi sulla “resistenza” degli italiani e non mi bastava. Poi mi è venuta in mente l’impermeabilità e qui e parso di trovare il completamento alla rappresentazione. Già, in effetti noi italiani siamo impermeabili al cambiamento in positivo. Bravissimi a cogliere le mode, i trend, ma irrecuperabili ad uno sviluppo virtuoso della società civile. Campioni nello scegliere il peggio del mazzo. Figli del no a priori (e penso a tutt’altro che al referendum). Tutte le volte che troviamo o veniamo in contatto con qualcosa che ha a che fare con la comunità, non solo non lo sentiamo anche nostro, ma lo deturpiamo. La modernità ci intriga solo se é per lo smartphone, il resto é roba non moderna e quindi non adatta. E abbiamo ragione: uno stato sociale ed efficiente non é una storia di dieci minuti fa, anzi é un’idea maturata in un centinaio d’anni, di lotte, di avanzamenti e arretramenti. É un’idea che confligge con il consumismo accattone, che rifugge dai soldi facili della speculazione, che anzi fa della filosofia della formica una base fondante. E noi con tutto questo abbiamo poco a che fare. Certo anche qui c’erano scioperi, lotte sociali e sindacali, ma nessun controllo reale, anzi, finita la lotta e riposte le bandiere, correvamo a chiedere la raccomandazione, il posto statale (garantito) e questo ha reso forti i poteri “di riferimento” e ha fatto diventare l’amministrazione pubblica il Castello di Kafka, con l’aggravante di una smisurata corruzione. Tutto questo lo vediamo, ne parliamo male, ma poi chi non ha un parente più o meno stretto che ha “approfittato”? Sicuramente la maggioranza dei votanti e allora impermeabili oltre le parole. Ma la crisi mondiale, meglio ancora la trasformazione della società come l’intendevamo sino a 40 anni fa sta mordendo e dovremmo capire per incidere, ma capire é aprirsi, e noi siamo aperti solo per le cose che, ci pare, portano piccoli vantaggi immediati. E ci distacchiamo, come in un bellissimo libro di Saramago (l’isola di pietra), dal solido occidente (qualsiasi cosa voglia ancora dire) andando alla deriva in un mare di debiti e di malaffare, ma a questi NON siamo impermeabili.

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