Philip Roth: “Indignazione”

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Considero P. Roth il più grande scrittore americano vivente. Mi pare perciò doveroso segnalare la buona idea della Casa Editrice Einaudi di ristampare il suo libro “Indignazione” scritto nel 2008: un romanzo breve, che ruota intorno al noto “Assalto alle Mutande Bianche”, avvenuto nel campus della provinciale e conservatrice Università di Winesburg agli inizi degli anni 50. Diciotto anni dopo – nel furore dei movimenti di ribellione giovanile che caratterizzerà quel periodo storico- una rivolta ben più “politicizzata” costrinse quell’Università (come altre nel mondo) a capitolare: molte rivendicazioni studentesche furono accolte, senza conseguenze per i responsabili della rivolta. Marcus il figlio di unmacellaio kosher nel New Jersey. vive, nel quartiere ebraico della città (quadro di riferimento costante dell’autore). Roth ci racconta il suo percorso attraverso un’America postbellica, maccartista, in piena guerra di Corea . Attraverso la fragile e dolorosa esperienza di giovani che cominciano a rifiutare i “ valori” trasmessi dal mondo adulto il grande Roth ci offre un memorabile affresco della Storia Americana della seconda metà del secolo scorso, raccontandocela con elementi narrativi che paiono marginali rispetto ai grandi eventi in cui sono collocati i personaggi del libro, ma che in realtà ne rivelano gli smottamenti culturali affioranti. Alle vicende cruente legate alla Seconda Guerra Mondiale, e alla successiva guerra di Corea, ( cui seguirà il trauma del Vietnam), la sterminata platea del ceto medio più benestante del mondo reagisce fingendo di credere che le cose torneranno al punto di prima Anche perché quelle guerre, quei conflitti si svolgono lontano “ altrove”. 

Ma in quell’altrove si troveranno coinvolti i loro giovani rampolli che -dai campi, alle fabbriche, ai campus- dovranno difendere, con i loro corpi il loro Paese: proprio loro i protagonisti di una serpeggiante ribellione che andava minando le basi su cui il Paese cercava di aggrapparsi. E’ questa fase di mutamento profondo che Roth affronta con perfetta padronanza di scrittura . E, ancora una volta il romanzo di formazione si rivela la strada migliore per affrontare temi così complessi. L’autore vuole dunque rappresentare quel decennio come la confusa anticipazione dei grandi scenari del ventennio successivo– Il nostro protagonista cresce con una grande ammirazione per il padre, e per la sua abile professionalità nel preparare le carni da vendere secondo il difficile rituale ebraico, nonché per il suo instancabile attaccamento al lavoro di cui è orgoglioso: ammirazione che l o porta a seguirne i consigli e gli insegnamenti e a diventare un vero modello di “ragazzo per bene”.

Con l’avanzare dell’età e degli studi, tuttavia, Marcus sente crescere in lui l’insofferenza per i controlli eccessivi e immotivati sul suo vivere quotidiano e sui suoi naturali bisogni di emancipazione. Bisogni che , in realtà, sono concentrati sul suo inesauribile desiderio di conoscere, procurarsi una chiave di lettura del mondo che non sia l’angusta visione di chi lo circonda nella vita di tutti i giorni, nella sua città culturalmente periferica. Finalmente riesce a conquistarsi – lui, figlio di nessuno- un posto all’Università, luogo da sempre privilegiato, dove possono accedere per la stragrande maggioranza solo rampolli di classi abbienti e dove crede di potersi liberare da un padre opprimente e da un’ ambiente soffocante. Ed è nel campus dove arriva, che si intrecciano i suoi rapporti con colleghi, superiori, norme comportamentali che riproducono (ingigantito) il malessere della società malata , puritana, ipocrita da cui ha pensato di fuggire. L’amicizia, il sesso, il principio di responsabilità; tutto è permeato da un’ avvilente palude di conformismo che non concede vie di uscita, se non nel rispetto delle regole date. E il nostro giovane si ribella con lucida coscienza. Mentre la gran parte dei suoi colleghi riescono ad esprimere non chiare insoddisfazioni con una memorabile ribellione legata alla separazione del campus in edifici per le ragazze e per i ragazzi: esaltati da una grande bevuta notturna, i maschi invadono le camerate delle ragazze ,terrorizzandole e buttando dalle finestre i loro indumenti più intimi, in una sarabanda incontenibile fino all’alba. Uno scandalo enorme! una goliardata da punire impietosamente, perchè contraria al castello di valori che nel campus forgia i bravi cittadini del futuro!.

Roth ricostruisce l’episodio con le pagine, forse, più belle del romanzo. Riesce a farci vivere il reale malessere di fondo di quei giovani, (di cui la bravata notturna è solo un debordante sintomo), raccontandoci l’orrore stupefatto dei superiori e le loro reazioni.. Passeranno quasi vent’anni, perché quella ribellione assuma, nella riflessione sociale che ne segue, i connotati di una vera rivolta contro un sistema ingessato.. Il controcanto l’autore lo riserva, con una folgorante proiezione sul futuro, al lento maturare del rifiuto del giovane protagonista al mondo che lo circonda , alla sua maggiore dimensione di consapevolezza. Il rifiuto di Marcus é più profondo, e,quindi più “sovversivo”.

Mette in causa aspetti fondamentali per la pacifica convivenza in quel campus; e sfocia in un memorabile dialogo tra lui e il decano, in cui egli consiglia al decano di andarsi a leggere il libro di B. Russel “Perché non sono cristiano”, per imparare quanto siano dannose e false le concezioni che sottendono qualunque religione. Imperterrito, il nostro continua a ribellarsi , malgrado tutto gli suggerisca di trovare quegli escamotage che i suoi compagni adottano per sopravvivere in quel mondo, senza rinunciare ai loro privilegi e alle loro future carriere. Il giovane Marcus, finirà soldato nella interminabile guerra di Corea. E quando il padre viene a sapere della sua morte, dirà alla moglie “ Vedi? Avevo ragione di dirgli sempre di stare più attento…”.

Ancora una volta Roth, con questo romanzo, rivela la sua straordinaria capacità. di prenderci per mano e, a partire dalle piccole cose del quotidiano, accompagnarci negli insidiosi meandri di una coscienza collettiva in divenire. Ad ognuno di noi, che spesso pensiamo al nostro quotidiano come un “nostro” vissuto individuale egli sembra suggerire -discretamente- che n realtà di individuale c’è solo la peculiare forma con cui ognuno reagisce alle comuni vicende che ci sovrastano e ci modellano nel tempo della nostra vita.

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