Tutti i giovani che partono per studiare all’estero o per cercare un lavoro, portano con loro una valigia piena di speranze, pur consapevoli che il percorso che dovranno affrontare non sarà semplice, per le difficoltà di ambientazione, cultura differente, grande competizione, allontanamento dagli affetti e dagli amici. Ma l’ottimismo generalmente non manca, poiché se affrontano Paesi con economie emergenti, o quantomeno non in stagnazione come la nostra, ne respirano la positività, l’entusiasmo degli obiettivi da raggiungere o raggiunti, lo scambio di esperienze e di idee con persone che guardano al lavoro e alla vita in generale in modo positivo. Mentre in Italia spesso sono scontenti, se non addirittura infelici, non solo i tanti disoccupati e i precari, ma anche coloro che un lavoro ce l’hanno.
Li attanaglia la paura del futuro, che la loro azienda possa chiudere i battenti dall’oggi al domani, la visione delle città in declino, dei luoghi di villeggiatura non più vivi come un tempo. Soltanto le comunità dei piccoli comuni di provincia riescono ancora un poco a fungere da collante per una piccola parte dei tanti giovani così scontenti. E’ per i motivi suddetti che ho sentito con le mie orecchie diversi quarantenni affermare: se non ci fossero i figli, me ne sarei già andato da questo Paese, e qualcuno di loro addirittura ha raccontato ai propri bambini: tra qualche anno ce ne andremo tutti via di qui! Anche i piccoli, così si sentiranno insicuri già a pochi anni nella loro terra. Oggi dunque non vale più il pensiero nobile di Omero che recita: Nulla è tanto dolce quanto la propria Patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta…