L’articolo 9 della nostra Costituzione recita: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione”. L’Italia, com’è ben tristemente noto, è un paese pieno di problemi e di difetti, ma con la meritata fama di non essere secondo a nessuno per ricchezza di cultura e di storia. Se ciò è vero è anche e soprattutto perché il nostro Paese vanta il sistema di gestione e tutela del patrimonio artistico più antico e attento del mondo. Nel centro storico di Firenze o di Venezia non si sono potuti costruire grattacieli grazie ad una legislazione molto protettiva dei nostri beni culturali.. In Italia ogni bene di interesse artistico, anche in mano ai privati, è protetto e tutelato. Opere d’arte giudicate significative per la nostra cultura non possono essere esportate (grazie alla celebre legge fascista del 1939 del ministro Bottai) e chi possiede una villa antica non può modificarne né gli interni, né gli esterni. L’importanza del territorio, nella sua individualità è capillarità, è un bene tutelato e avvertito da ogni persona civile. Del resto le nostre regioni sono così diverse tra loro nella morfologia geografica e in ogni espressione artistica (dalla pittura alla cucina), che immaginarne una sorte diversa fa venire i brividi.
Ben venga, con queste premesse, la mostra in corso al Museo degli Eremitani di Padova, curata da Davide Banzato e Elisabetta Gastaldi, che accosta a dipinti di pittori veneti attivi dal XV al XVIII secolo, presenti nel museo patavino, opere provenienti dal mercato antiquario. L’intento dei curatori è quello confrontare per raggiungere una conoscenza migliore. Quasi sempre, con le due sole eccezioni di cui diremo subito dopo, la qualità del dipinto appartenente al patrimonio pubblico è superiore rispetto a quello in mano privata, ma ci sarebbe da preoccuparsi solo nel caso contrario.
Questa piccola mostra funziona anche come passo concreto di quella collaborazione tra pubblico e privato che in uno Stato sempre più impoverito è una manna. Donazioni in cambio di esenzioni di tasse, sponsorship con ritorni economici, restauri a fine pubblicitari sono alcuni dei salvagenti preziosi di cui lo Stato ha sempre più bisogno per proteggere il proprio patrimonio artistico.
Ma veniamo ai due dipinti oggi sul mercato antiquario degni del museo padovano. L’Ecce homo di Paolo Veronese è un capolavoro, in temporanea importazione, di una bellezza commovente nell’impostazione scenografica e nella raffinatissima gamma cromatica. L’altro raro gioiello è l’Ecuba e Priamo del Padovanino, scelto a ragione come copertina del catalogo e manifesto della mostra. Si tratta di una raro soggetto mitologico dipinto dal maggiore pittore padovano del Seicento e la sua destinazione più auspicabile sarebbero le sale del museo o le stanze degli antichi palazzi di città o delle ville venete.
Accanto a queste due rarità, ci sono opere di cui ci saremo volentieri risparmiati la vista, soprattutto pensando che la selezione è di trenta pezzi provenienti da collezionisti privati e dai ‘maggiori antiquari e galleristi italiani’.
Penso alla Salomè con la testa del Battista data in catalogo al padre Pietro o al figlio Marco, ma che in realtà non appartiene a nessuno dei due, secondo una vaga dicitura ripetuta per l’Allegoria della Pittura che è in realtà opera tipicissima di Marco. Discutibile la scelta dei dipinti di Francesco Guardi che non fanno onore alla statura dell’artista. Ma la mostra assolve comunque al compito di essere di stimolo a quanti vogliono riflettere sul patrimonio artistico, sulla sua circolazione e sulla sua valorizzazione. Di questi tempi, è moltissimo.
La Mostra è visitabile presso i Musei Civici degli Eremitani di Padova dal 31 marzo al17 giugno 2012 .
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