New York: una vita… semplice

new_york Ho passato una settimana a New York, forse il clima invernale, lo scarso numero di turisti, questa volta mi sono riuscito a focalizzare con un’attenzione diversa sullo stile di vita dei cittadini veri.

Ed è incredibile come nella città degli affitti stellari, di negozi che occupano un condominio, di merci ovunque, alla fine la cittadinanza sia fatta di persone… semplici.

Già, i newyorkesi sono in fondo persone semplici. Che non dipendono poi così tanto dalle merci. Magari ne hanno, del resto sono tra i più ricchi al mondo, ma non gli danno troppo peso. Lo spirito di New York è un po’ come quello di un paese: si lavora, tanto e con impegno, il lavoro per gli americani è un fatto di dignità, come per i giapponesi.Non esiste che hai il posto pubblico e te ne freghi perché sei garantito, ma servi i tuoi concittadini al meglio perché rappresentate insieme la nazione. Anzi, la più grande nazione, per loro. Poi ci sono i bimbi, e ci si diverte a fare lo slittino a Central Park innevato. Nel tempo libero si va a correre al parco, si porta un regalo di benvenuto ai vicini e la vita è questa qui.

Nella città delle boutique costosissime è incredibile vedere la gente con maglioni che noi non porteremmo nemmeno se pranzassimo alla Caritas. In metropolitana è una sfilata di scarpe da ginnastica. Chi se ne frega se è la capitale della moda, a New York si cammina un sacco!

Te ne vai in posti stellari su grattacieli a bere un drink, vestito come ti pare. Nessuno ti lascia fuori o ti giudica per come sei vestito, anzi, vista la media, sembri sempre alla moda.

Quindi mi sono soffermato sulle pubblicità nella metropolitana. Da noi sono tutti marchi, abbigliamento, prodotti, accessori. Bene, lì non ne ho vista quasi nessuna. Anzi forse proprio neanche una.

Quali pubblicità c’erano? Al 90% servizi. Avvocati, soprattutto, specializzati in ogni cosa: immigrazione, divorzi, azioni civili, rimborsi. Poi pubblicità di educazione: scuole, università, corsi. Anche corsi sulla felicità. E poi altri servizi che da noi non durerebbero un giorno come business, ma che lì evidentemente tirano, tipo un magazine online contenente notizie dai quartieri. La pubblicità ti invitava ad andare sul sito a farti consigliare idee regalo per parenti, come un tagliere per il marito o un salame par la nonna. Magari ti diceva in quali negozi locali li trovavi in offerta. Insomma, le pubblicità sono servizi decisamente legati ai problemi della vita quotidiana. Una vita complessa all’apparenza, ma in fondo fatta di bisogni semplici: taglieri, corsi di formazione e un po’ di felicità.

E in fondo mi sono reso conto che i newyorkesi hanno anche valori più positivi dei nostri e che sono rappresentati non solo nelle loro pubblicità ma anche nelle loro letture. I libri più venduti sono spesso saggi, anche di una certa complessità, in America l’educazione è ancora un veicolo sociale e dunque un valore. Quindi tutti cercano in qualche modo di imparare, non elevano a dignità letteraria spazzatura come da noi per avere la scusa di non compiere così alcuno sforzo intellettuale.

Poi mi sono chiesto come mai nell’epicentro del capitalismo e del consumismo, in fondo la mentalità della gente non fosse tutta shopping e consumi. E mi sono risposto che forse devono già pagare affitti esorbitanti, devono fare un altro mutuo per l’università dei figli, pagare la sanità, fare lunghi tragitti. E quindi quel che rimane alla fine di tutto è un tagliere per la nonna e un po’ di felicità. Perché i newyorkesi sono gente che nasce con l’idea che nulla ti è dovuto e tutto dipende da te. E che la borsa di Gucci è un lusso che ti conquisti. Non un modo dovuto di spendere i soldi dopo che lo stato ti ha concesso pensione, sanità, cassa integrazione, sussidi, università, come fa da noi, insegnandoti però anche che sotto sotto, non è mai nè merito né colpa tua. Nel bene e nel male.

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