Milan vendesi causa disastri industriali

xl43-silvio-berlusconi-milan-150403113349_medium_jpg_pagespeed_ic_lR3kOiaybd Se facessimo un sondaggio per chiedere agli italiani chi é il self made man per eccellenza italiano, non mi stupirei se in testa ci fosse Silvio Berlusconi. Un uomo, un mito. Tutto quello che ha toccato è diventato oro. Re Mida? Un dilettante. Ma attenzione, c’è una cantilena infantile che recita “oro di Bologna che muor dalla vergogna”. Di questa qualità è l’oro di Arcore. Ora sotto i riflettori c’è il Milan, la creatura par excellence del Cavaliere. Come andrà a finire sembra scritto. Il nostro probabilmente venderà e tanti auguri a chi c’è caduto (di mantenersi felice e cornuto). Sì, perché bisogna ricordare che sotto la presidenza e il portafogli di Silvio, il Milan è diventato la squadra più titolata del MONDO. Sacchi ha reinventato il calcio, dopo di lui sono venuti Capello e Ancelotti che mietevano successi comunque e dovunque. Ne fanno fede gli stipendi che ai sunnominati ancora adesso vengono pagati da altri club o nazionali per avvalersene. Quindi una lunga strada per il paradiso. Altri club, per cercare di imitare il Milan, hanno speso fortune e ora cominciano a cogliere qualcosa. Un industriale di successo avrebbe fatto piani adeguati, cercato sbocchi giusti e sarebbe cresciuto ancora. E il nostro che ti combina? Fa le nozze con i fichi secchi e negli ultimi dieci anni ha un solo bilancio in attivo. Ora vende, almeno delle quote, sennò deve ricoprire debiti per centinaia di milioni di euro. Il tutto in un momento di grigiore infinito. Una squadra che non va da nessuna parte, tre allenatori in un anno, ora alla ricerca del quarto. Contratti, quindi, da onorare senza contropartite. Campagne acquisti da ubriachi, o forse solo da “interessati”, in cui il valore e le cifre pagate sono sempre state esagerate, a detta degli addetti ai lavori. Poi questa storia che più della metà degli acquisti hanno come procuratore Mino Raiola, sarà un caso, ma noi italiani al caso e alla teoria delle probabilità crediamo poco. Non parliamo poi dell’ultimo biennio, con la guerra fredda e con due AD, come se solo uno non bastasse, allora, inventarsi al fianco di Galliani, relegato alla parte tecnica ( quindi a Raiola), la Barbara di famiglia, con idee nuove, consigliori nuovi, tutta proiettata sul mercato, per far vedere che vale. Vale tanto da non sapersi chiamare fuori e di andare alla vendita con debiti e squadra a pezzi. Tutto questo è un chiaro esempio dell’imprenditoria italiana, che non sa crescere, non sa comprare e purtroppo sa vendere, ma anche nel momento peggiore. Il tutto condito con l’ultimo sfogo di Silvio :

“Non posso uscire da perdente. Non posso vendere con i tifosi contro”

Per lui la sconfitta è il come esce, con la paura che la gente lo fischi e lo insulti. I conti in disordine, il non aver saputo mantenere la fortuna che si era trovato per le mani, l’essersi affidato SEMPRE agli amici e famigliari e non a manager capaci, questo non lo tocca. Perché in questo paese la sostanza non conta, solo la forma vale. Con tanti saluti ai disastri dei nostri splendidi industriali.

 

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