E’ appena uscito in libreria il divertente romanzo del quarantenne Michele Dalai, figlio dell’editore Alessandro.
Editore lui stesso, avendo fondato,con Andrea Agnelli, la casa “Add”.
Siamo nella Milano della fine anni novanta. Una Milano di periferia in cui un gruppo di più o meno giovani di grandi speranze, ma di poche risorse e intelletto, cerca di costituire una “boy band”.“E’ incredibile come, dice Dalaiin un’ intervista a Repubblica, Milano non abbia prodotto i Take That, i Boy zone o i One Direction di oggi…”Ho immaginato cosa sarebbe successo a un gruppo nato nella nostra città, mentre spopolavano i Ragazzi Italiani, la prima (dimenticata) creazione di Maria De Filippi”.
E’ la storia di un fallimento. Il protagonista, l’io narrante, è un trentenne di famiglia scombinata ma facoltosa, colto, con seri studi musicali in Italia e a Monaco di Baviera, terra di origine del padre. Soffre di un difetto inguaribile: cade continuamente, nelle circostanze più improbabili. Gii altri componenti del gruppo sono un presunto manager fuori di testa, maniaco sessuale e assolutamente incompetente; un diciottenne efebico e con tendenze misticheggianti che dovrebbe accompagnare il protagonista-cantante, ballando in copia con un narcisistico argentino chiamato il “Bello” (come in realtà è).
Un mondo di sfigati che si cimenta per prepararsi ad una audizione in un palcoscenico scalcagnato durante il festival della canzone di Sanremo. Intorno a questi personaggi -e ad altri che fanno da contorno non meno esilarante- Dalai tesse una trama che gli serve per ricreare una Milano in consueta, lontana dagli stereotipi da “città della moda” e degli affari, immiserita dall’incombente folla di giovani -e non solo- affannati a trovare scorciatoie per facili guadagni e fama senza talento. Nel romanzo compaiono, apparentemente fuori contesto, dei capitoli in cui si descrivono celebri e plateali cadute di altrettanto celebri personaggi pubblici: Margaret Tatcher a Pechino, Gerald Ford in Austria, Michel Spinks ad Atlantic City, Giovanni Paolo II in Vaticano.
L’ultimo di questi “eccentrici” capitoli è quello che descrive il lento scivolare sul leggio di Enrico Berlinguer nel famoso comizio di Padova, davanti ad una folla immensa ed attonita. Un capitolo impareggiabile! Spassose le pagine in cui i personaggi si avventurano a discutere della Bicamerale e di D’Alema che si fa fottere da quel furbastro di Berlusconi. Agre e pungenti le numerose notazioni sulla città, capaci di sfatare leggende metropolitane…”Conquistata e distrutta da chiunque, spagnoli, austriaci, francesi, tedeschi o americani che fossero, la città è rimasta salda nel suo spocchioso nanismo commerciale tramandato di generazione in generazione…” Così parla il protagonista-cantante, ovvero l’autore.
Eppure , nella sconfitta che conclude il romanzo, nella penosa disfatta, preparata con cura dallo scrittore, che chiude l’audizione a Sanremo, nell’ultima, fatale caduta sul palco del protagonista, avvertiamo una luce: l’accettazione della sconfitta. Una accettazione serena: “la nostra grandezza è la mancanza di talento”.
Michele Dalai con la sua nuova casa editrice ha pubblicato come primo titolo “Indignatevi” di Stephane Vessel. E’ stato un enorme successo. Ma questo suo primo romanzo ci rivela una penna arguta e un’ironica visione delle cose. Ovvero una capacità di guardare alle cose di questo mondo con un benevolo sguardo critico. E poi, a leggerlo, ci si diverte davvero!
Michele Dalai. “Le più strepitose cadute della mia vita” (Ed. Mondadori, pag. 290, euro18)
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