L’Italia dei pensionati felici e dei giovani impoveriti

«Che succede, ragazzo?». «Niente vecchio, non mi tornavano i conti, ne mancava uno». È il dialogo finale di Per qualche dollaro in più fra Lee Van Cleef e Clint Eastwood.

Perfetto per sintetizzare in una riga le tante questioni aperte del rapporto giovani-vecchi nel

A partire dai conti (anagrafici, generazionali, sociali, lavorativi, pensionistici) che non tornano più. E dunque ci obbligano a rifarli, ma in un contesto e in uno scenario letteralmente sottosopra. Per dirne solo una, mentre l’Istat certificava che nel 2019 sono crollate le nascite, un dato che ci riporta al 1861, la popolazione egiziana ha toccato quota 100 milioni.

I GIOVANI SONO VITTIME DI POLITICHE SCIAGURATE

Il crescente invecchiamento della popolazione è in tutto l’Occidente una questione epocale. Però in Italia aggravata dalla sottovalutazione di un fenomeno che investe pesantemente giovani e giovanissimi che stanno pagando il conto, via via più salato, di politiche sciagurate. Perché di breve respiro, non sostenibili a medio-lungo termine, soprattutto se, come concordano le previsioni più accreditate, aumenterà la durata media della vita e si ridurranno le nascite, in un contesto di bassa crescita economica, inefficienza di sistema, dispersione del capitale umano giovanile.

LA GUERRA DI RELIGIONE PENSIONISTICA

Ma preliminare a ogni altra considerazione è lo scarto enorme, che da 20 anni non viene scalfito, esistente tra l’infinità di studi seri e la messa in campo di efficaci interventi correttivi. Al punto da trasformare una legittima, ma sconsiderata, opposizione alla Legge Fornero, in una guerra di religione pensionistica, che ha prodotto il populistico Quota 100. Ovvero come mandare in pensione anticipata gente di 60 anni, dunque ancora giovane secondo gli standard attuali di longevità, che aveva un lavoro, in nome di una fantomatica liberazione di posti per i più giovani.

Il risultato, al momento il solo, è stata la messa in crisi di numerosi settori (in primis la sanità pubblica), trovatisi con molti ruoli e funzioni scoperti, in assenza di un turnover programmato. Con colpevole disprezzo di un’evidenza conclamata che registra tassi d’occupazione complessivi maggiori in Paesi dove l’età pensionabile è più elevata (Svezia) o dove si può continuare a lavorare senza limiti d’età (Usa), o se si è dipendenti pubblici si può restare al lavoro sino a 80 anni (Giappone). 

L’ITALIA È IL PAESE PIÙ VECCHIO D’EUROPA

Tuttavia non è sugli effetti deleteri del populismo pensionistico che voglio puntare l’attenzione. Bensì sulla situazione sociale, che è anche psicologica e, se mi passate il termine, sentimentale della Terza età e pure della Quarta. Che da un po’ di anni vede aumentare in modo consistente le persone che superano largamente gli 80 anni, andando a costituire una platea di popolazione destinata ad allargarsi sensibilmente. Con tutti i problemi sanitari, economici, sociali del caso.

Già oggi gli over 65 – dati Eurostat sulla popolazione 2017- sono il 34,8% della popolazione e con tale dato siamo il Paese più vecchio dell’Europa comunitaria (29,9% è la media). E il secondo al mondo dopo il Giappone (con una stima di 168,7 anziani ogni 100 giovani). Nel contempo, come abbiamo già detto, la natalità ha registrato il picco più basso nell’anno appena passato. 

ABBIAMO TASSI DI LONGEVITÀ DA PRIMATO

Tuttavia gli over 60 italiani rispetto ai loro coetanei europei e mondiali hanno un tasso di longevità da primato. A integrazione di alcune considerazioni di due settimane fa, riporto testuale dall’Osservatorio salute 2019, «l’Italia secondo gli ultimi dati disponibili di fonte europea Eurostat, nel 2016 si colloca al primo posto per la più elevata speranza di vita alla nascita per gli uomini (81,0 anni) e al terzo posto dopo Spagna e Francia per le donne (85,6 anni), a fronte di una media dei Paesi dell’Unione europea di 78,2 anni per gli uomini e di 83,6 anni per le donne. Anche rispetto agli anni di vita attesa all’età di 65 anni gli uomini e le donne italiane vivono più a lungo rispetto alla media europea (rispettivamente, 19,4 anni vs 18,2 anni e 22,9 anni vs 21,6 anni)».

LA RETORICA DELLA VECCHIAIA INDIGENTE E MISERABILE

Insomma chi ha l’età in Italia se la passa piuttosto bene anche dal punto di vista del benessere psico-fisico e della qualità della vita. È sempre Eurostat a certificare che in Italia ci si ammala meno, anche nelle patologie più gravi e diffuse come il diabete. E che problemi di minore autosufficienza o ridotta capacità di amministrarsi da soli cominciano a porsi dopo i 75 anni. Però a tenere banco mediatico sono di norma i casi di vecchiaie indigenti miserabili. Che certo esistono e sono avvilenti. Ma che fanno velo e spesso distorcono o addirittura nascondono una realtà molto migliore di quella raccontata, soprattutto dalla tivù ultra-populista di Rete4 e dai sindacati. 

LA CLASSIFICA DELLA POVERTÀ

Che l’Italia non sia un Paese per giovani è noto da tempo. Ma non si pensava, e credo molti converranno, che l’Italia fosse, anzi sia, visto che il dato è molto recente, uno dei Paesi in cui la popolazione over 65 è meno povera, o ben più ricca di quel che si pensa, di tanti altri Paesi che nella percezione comune dovrebbero stare molto meglio di noi. Spectator Index sulla base di dati Ocse ha twittato a inizio settimana una tabella sulle persone oltre i 65 anni che vivono in condizioni di povertà, che è clamorosa. Ma forse proprio per questo passata sotto silenzio mediatico.

Share of people aged over 65 who are living in poverty

Australia: 35.5%
US: 21.5%
Japan: 19.4%
Turkey: 18.4%
UK: 13.4%
Germany: 9.4%
Italy: 9.3%
Poland 8.4%
Greece: 6.9%
Spain: 6.8%
Canada: 6.7%
France 3.8%
Netherlands: 2

In testa a questa poco onorevole classifica troviamo Australia (35,5%), Usa (21,5%) e Giappone ( 19,4%) che sono rispettivamente il quarto, primo e secondo Paese più ricco al mondo. L’Italia è in posizione mediana, ma migliore di Gran Bretagna e Germania. Però ancor più sorprendente è il 6,9% della Grecia. Mentre il 2% dell’Olanda è l’ulteriore conferma di una Paese che è primatista in tutti i campi civili e sociali. Il 3,9% della Francia indirettamente spiega, invece, perché i francesi si stanno rivelando i più accaniti in Europa nell’opporsi a ogni riforma pensionistica.

SONO I GIOVANI A PASSARSELA PEGGIO

Ora se provassimo a fare gli stessi conti chiedendoci quanti sono i giovani fra i 15-24 anni che vivono in condizioni di povertà avremmo la prova, visto che in questa fascia d’età la disoccupazione è al 28,9% (dati Eurostat e Istat di ottobre 2019), che è giovanile la vera emergenza, economica e sociale. I veri poveri, i nuovi poveri sono loro: giovani uomini e giovani donne che trovano difficile capire perché dovrebbero pagare contributi per una pensione che non percepiranno. Ma la misura di questa realtà italiana capovolta, e sempre più ingiustificabile, visto il crescente depauperamento della meglio gioventù che scappa all’estero (nel 2018 sono partiti 117 mila italiani di cui 30 mila laureati) lo offre l’impietoso confronto fra pensioni dei vecchi e stipendi dei giovani. Lo stipendio medio d’ingresso dei 24-35enni (Osservatorio JobPricing) è di 23.586 euro, fra i più bassi d’Europa, mentre un pensionato su quattro (24,7%) si colloca nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro lordi. Ribadire che i conti  proprio non tornano è il minimo. Anche perché leggendo per bene il settimo Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, come ha fatto nei giorni scorsi Alberto Brambilla sul Corriere della Sera, si scopre che la pensione in Italia è come vincere un terno al lotto. Visto che, per quanto basse siano, il 36% delle pensioni viene pagato a persone che non hanno mai pagato i contributi e che su 16 milioni di pensionati circa il 50% è parzialmente o del tutto assistito dallo Stato.

Da Lettera 43

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