L’istruzione americana devasta i bimbi maschi, e in Italia?

Nel vedere quest’Italia devastata che però sotto alcuni aspetti riflette il profilo socio-culturale dell’intero mondo globalizzato in salsa occidentale, continuiamo a pensare che la fragilità delle comunità dipenda fortemente anche da deficit ormai gravissimi che i programmi e principi educativi applicati nelle scuole, nelle famiglie, nella società impongono come assunti intoccabili.

Quindi anche oggi vi annoieremo parlando di educazione nelle scuole, ma attenzione che la cosa riguarda tutti noi.Vi vogliamo segnalare il pensiero di una pedagogista americana, Ali Carr-Chellman, che denunzia una catastrofe della formazione scolastica made in Usa, in questo caso che colpisce soprattutto i bambini di sesso maschile. Guardate questi numeri:

ogni 100 bimbe sospese a scuola ci sono 250 maschi sospesi;

ogni 100 espulse, 335 maschi espulsi;

ogni 100 femmine in scuole speciali, 217 sono i maschi nelle stesse scuole;

su 100 ragazze con problemi di apprendimento ci sono 276 maschi con quella diagnosi;

ogni 100 femmine con disturbi emotivi 324 maschi hanno disturbi emotivi;

Questi rapporti di proporzione salgono parecchio se si tratta di bambini di colore, o appartenenti a ceti non abbienti, o frequentanti scuole troppo affollate.

Negli Usa, se sei un ragazzo hai 4 volte le probabilità di vederti diagnosticato un “disordine di iperattività”, quella demenziale malattia che si sono inventati gli americani per somministrare pillole ai bambini e non avere complicazioni. Ci piace ricordare che secondo una saggia interpretazione pedagogica invece, spesso i bambini definiti “iperattivi” sono semplicemente bambini “ipostimolati” che andrebbero cioè allevati meglio, con più affetto, attenzione, stimoli, relazioni, possibilità di muoversi all’aria aperta, ecc.

Nelle università degli Usa il 60% delle lauree vanno infatti alle donne e si rischia di avvicinarsi a una popolazione universitaria al 70% composta da studentesse. Parlando con i professori questi rispondono che i maschi giocano ai videogame e scommettono sul web tutta notte, cosa che peggiora il loro rendimento scolastico.

Ebbene, per Ali Carr-Chellman i videogiochi non sono la causa, ma un sintomo. Da tempo ormai i ragazzi sono infatti come “scollegati” dalla scuola, disallineamento che avviene dai 3 ai 13 anni e per la studiosa i maschi vanno fuori sincrono con la cultura scolastica moderna per tre sostanziali motivi.

Il primo è la “Tolleranza zero”, un concetto acquisito nella società dell’insicurezza post 11 settembre. I bambini americani non possono avere pistole giocattolo, spade, pugnali dei pirati finti. La denuncia di Ali Carr-Chellman non è certo una difesa dei bulli, ma cosa significa togliere ai bambini piccoli la possibilità di “giocare duro in cortile”? Qualunque pedagogista sa di che parliamo. E il dictat della “Tolleranza zero” condiziona per esempio anche la scrittura dei maschi. Non possono scrivere cose violente e soprattutto nulla che abbia a che vedere con i videogiochi. I bambini tornano a casa e dicono: «Odio scrivere!

Posso scrivere solo quello che mi dice la maestra, poesie, piccoli momenti della mia vita…» e se si chiede loro cosa vorrebbero scrivere rispondono: «Di videogiochi, di come si sale di livello, di questo mondo così interessante, di un tornado che ti entra in casa e porta via tutte le finestre, rovina i mobili e uccide tutti!». Ma se un bambino dovesse dire questo a una maestra, essa immediatamente consiglierebbe ai genitori di portarlo dallo psicologo. Una reazione semplicemente sbagliata, poiché si tratta di un bambino, un ragazzino.

Il secondo motivo è che negli ultimi dieci anni i maestri delle scuole elementari americane si sono dimezzati: dal 14% sono scesi al 7%! Significa che il 93% dei docenti che i maschi hanno a scuola sono donne. Per carità, le donne sono bravissime, ma a scuola i maschietti non hanno maschi adulti da prendere a modello che sappiano dire ai bambini «Essere uomini in gamba è un valore». Certamente hanno i padri (quando ci sono), sacerdoti, capi scout, ma 6 ore al giorno sono in un’aula di scuola, dove gli uomini quasi non esistono e allora pensano “Questo non è un posto per maschi, ma per femmine e se io qui non sono tanto bravo, forse è meglio giocare ai videogiochi”. Il messaggio profondo che arriva ai bambini è “Dovete sempre fare quello che dice la maestra” e i piccoli, che a quell’età sono mediamente vivaci, si sentono ordinare: «Siediti! Stai zitto! Fai come dico io! Obbedisci! Non perdere tempo! Concentrati!»; insomma: «Fai la femmina!», indirettamente, ma si dice loro proprio questo.

La terza criticità individuata dalla Carr-Chellman è che negli Usa l’asilo di oggi equivale assurdamente alla seconda elementare di una volta. Il percorso scolastico è compresso, i programmi esasperati. A 3 anni i bambini americani devono tutti saper scrivere il proprio nome e cognome in modo leggibile, sennò saranno considerati lenti nello sviluppo. In prima elementare devono già leggere paragrafi di testo anche senza immagini in libri di 25-30 pagine, altrimenti saranno messi in un corso di recupero per la lettura, corsi ove confluiscono 4 o 5 maschi per ogni bambina.

Il problema è serissimo ed è causato da una società che vuole bimbi di 6 mesi che sappiano leggere, ogni bambino dev’essere sopra la media e finire in scuole d’élite, cose che devastano lo sviluppo dei bambini e in particolare non funzionano per i bambini maschi.

Ali Carr-Chellman propone allora di cambiare i programmi e incontrare i maschietti sul loro terreno, nel loro specifico comportamentale e della psicologia dello sviluppo, in quella che lei riconosce essere la loro “cultura”. Vanno creati giochi migliori; oggi c’è una vera mania per i giochi educativi che però non hanno la profondità e la ricchezza narrativa dei videogiochi. Vanno realizzati videogiochi che trasmettano modelli e informazioni positive ai maschi sfruttando la capacità di coinvolgimento che quel tipo di strumento ha su di loro. Gli insegnanti devono smettere di parlare ai bambini in modo avvilente dei loro videogame, di accusarli di saper conversare solo di quegli argomenti tra di loro. Come si sentirebbe ognuno di noi adulti se venisse continuamente calpestata la sua cultura, il suo mondo? Bisogna rendersi conto che oggi i bambini ricevono una tale quantità di stimoli che sviluppano precocemente un proprio bagaglio di informazioni, di cultura, giusta o sbagliata che sia e gli insegnanti devono diventare competenti di questa ed essere più aperti. In più è necessario un cambio di mentalità in genitori, docenti, amministratori e politici per far capire loro che ci vogliono più uomini nelle aule.

Va riconsiderata la “tolleranza zero” (stiamo parlando di America) per ricominciare a rapportarsi alle modalità dell’aggressività infantile propria dei maschietti di tutto il mondo (che è naturale, che è semplicemente una forma di energia di auto sviluppo priva di connotati amorali come gli adulti tendono invece sempre a leggere) per incanalarla gradualmente e farla diventare funzionale al perseguimento dei loro obiettivi di vita, civili, alla loro voglia di esprimere la propria individualità originale, non omologata.

Inoltre va decompresso il curriculum scolastico per ridare ai maschi lo spazio temporale di cui hanno bisogno. Non è cosa nota a tutti che le bambine si sviluppano prima fisicamente e intellettivamente? Per Ali Carr-Chellman, se non ci sarà questa evoluzione culturale, i maschi continueranno oggi e in futuro a lasciare le elementari dicendo: «Era un posto per femmine, non per me, quindi io posso solo giocare a videogame o fare sport», mentre tutti hanno il diritto di uscire da quell’ordine di scuola dicendosi «Sarò un uomo in gamba»

Allora noi ci chiediamo: la realtà italiana è molto diversa da questa?

Non vediamo sempre più famiglie che mentre affermano in linea di principio di voler tutelare l’infanzia e il diritto al gioco dei propri bimbi poi li travolgono di corsi di ogni tipo perché siano performanti, competitivi, non rimangano indietro rispetto al figlio degli amici?

Non sono spariti anche in Italia i maestri uomini dalle scuole elementari? Non si muove continuamente l’accusa ai bambini di essere troppo indisciplinati e agitati? Non è stato più in generale messo completamente in crisi un modello positivo di mascolinità, di virilità civile e illuminata, che sia capace di fare da riferimento per la crescita dei bambini maschi? Avete mai pensato a quale incredibile latitanza di figure maschili positive e di figure di padri a tutto tondo ci sia in quasi tutta la letteratura cinematografica che viene propinata da decenni alle giovani generazioni? Da Shrek a Toy Story, da Koda fratello orso ai Fantagenitori, da Ben Ten a Dragon Ball, dai Pokemon a Dragon Trainer, da Topolino e Paperino a E.T?

Dove sono i padri? I modelli per i giovani uomini?

Qualche sospetto viene a qualcuno?

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