Ormai velati da una patina di inattaccabile sacralità, i cosiddetti “talent show” possono permettersi le bassezze di qualsiasi altro reality, dalla lite continua tra professori e studenti, alla caciara da bar del pubblico, fino ad accuse, intrallazzi amorosi da gossip di quarta categoria, continuando ad essere ritenuti tv di qualità.
Il motivo sarebbe che sfornano talenti. Che danno la possibilità ai giovani di affermarsi. Ora, è vero che dal punto di vista artistico nel nostro paese vi sono tanti giovani con doti notevoli che si esibiscono solo localmente senza mai la possibilità di farsi apprezzare da un pubblico più vasto. Ma vi è una grossa ipocrisia di fondo in questi “talent” ossia il fatto che sostanzialmente il format prevalente prevede la caccia a degli esecutori, mai a degli autori.
Salvo rare eccezioni, ci si sfida ad interpretare brani – rigorosamente di musica leggera – dei soliti noti, che magari così incassano anche qualche royalty dalla SIAE e poi si sa, sono amici di amici, fanno anche l’ospitata in studio e così si porta avanti il carrozzone di musica leggera italiana che non cambia da trent’ anni.
Intanto questi “giovani talenti” fanno i soldatini, cantano tante belle cover, seppur eseguite con capacità, ma il loro talento dove va a finire? Quando lo show è terminato, a uno o due finalisti verrà cucito addosso un bell’album con canzoni pop che parlano solo d’amore, scritte dai soliti noti, con le stesse armonie per poi passare, si spera, alla conta dell’incasso.
La verità è che il talento autentico non risiede tanto nell’esecuzione del brano. Non è certo con questo format che si scoprono i talenti. Bob Dylan non è diventato Bob Dylan perché era un maestro dei vocalizi. Steve Tyler degli Aerosmith in un concorso come X-Factor non credo passerebbe il primo turno se dovesse cantare i pezzi di Baglioni. Ma negli Aerosmith non riesco a immaginare nessun altro al mondo se non lui con il suo timbro unico, a interpretare quei pezzi cuciti sulla sua voce.
Quindi è questa l’ipocrisia dei reality. Fingere di scovare “talento”, quando in realtà il talento è innovazione, rivoluzione, rottura degli schemi e non ripetizione di modelli già esistenti, seppur fedele e rigorosa. Ma poi mi sovviene un dubbio. Non sarà questo che il pubblico, specchio dell’Italia, in fondo vuole: vagheggiare la rincorsa al talento, per poi non cambiare mai nulla?
Devi accedere per postare un commento.