Il nostro precedente articolo sulla rivoluzione copernicana nell’istruzione proposta dal filosofo dell’educazione Sir Ken Robinson ci offre lo spunto per toccare un tema che potrebbe sembrare marginale alla devastata condizione del nostro Paese, ma secondo noi non lo è affatto: quello dell’impresentabile livello dell’educazione musicale dell’italiano medio.
Il compito è difficile però, poiché tenteremo di sottolineare la gravità di una lacuna sociale inaccettabile rivolgendoci a una platea nella quale i più, proprio perché ne ignorano i reali termini, facilmente neanche si pongono il problema, non ne percepiscono il sussistere stesso come tale.
Non solo: trattandosi di un fatto non di semplice ignoranza, ma della sovrapposizione a essa di una diffusa incultura, cioè di una pseudocultura errata e infarcita di stereotipi, luoghi comuni ed equivoci instillati nel tempo dallo star system e dalle stritolanti regole del mercato della musica cosiddetta “di consumo”, rischieremo anche di andare a toccare la sensibilità di molti che, parlando di musica, sono invece candidamente convinti di avere brillanti strumenti di giudizio ed esperienza.
A ciò, unendo un aspetto ulteriormente spinoso: il fatto che nel campo dei cosiddetti “gusti musicali” agisce una dimensione privata, affettiva, d’idolatria e mitizzazione che porta i più ad avere, nei confronti di coloro che considerano i propri mostri sacri, atteggiamenti di fanatismo, adesione incondizionata, passione adolescenziale e acritica, al punto che andando a toccare tali certezze si rischia pure di prendere i pesci in faccia, quasi si trattasse di ultras di calcio ai quali è stata mossa offesa verso la squadra del cuore.
Come facciamo a dirvi che quel cantante che ha costituito la colonna sonora del vostro primo bacio, di quelle vacanze meravigliose con la prima morosa, di una serata memorabile di intimità, o degli ultimi giorni prima dell’esame di maturità e del quale ascoltate ancora oggi dopo vent’anni i pezzi è un mediocre mestierante e vi ha pian piano educato a emozionarvi con qualche banale e vuoto giochetto di giri di accordi già presente in altre diecimila canzoni scritte nello stesso secolo? A dirvi che forse alcune corde vibranti migliori del vostro essere hanno voluto mettersi in risonanza con esperienze d’ascolto che stanno infiniti piani al di sotto di quanto la vostra natura complessa avrebbe saputo percepire, se foste stati dotati semplicemente del vocabolario necessario a comprendere altre carature di linguaggio musicale?
Come fai a dire a qualcuno che avrebbe potuto essere una persona migliore, vivere esperienze più profonde, intense, raffinate e consapevoli anche in tutti gli altri aspetti della sua esistenza, se avesse imparato ad accorgersi che dentro determinata musica trovi questo, ma in altra trovi ben altro, trovi un qualcosa che diventa paradigmatico per il totale esperenziale?
Se abituate una persona a mangiare caramelle al pomo da bambina, quando dà il primo bacio, quando fa il suo primo bagno di notte al mare con gli amici, quando si laurea, questa riterrà per tutta la vita che le emozioni gustative della caramella al pomo possano racchiudere tutto il mondo possibile delle sue capacità percettive dei piaceri del palato, di ciò che è complessivamente “essente” nell’universo dei sapori.
Farà un viaggio in Australia e seduta a guardare il tramonto dalla Ayers Rock metterà in bocca una caramella al pomo credendo di festeggiare e sublimare quel momento con un’altra esperienza analogamente pregnante.
Cosa ne può sapere questa persona dell’esistenza dei profiteroles o della torta Saint Honoré? Guai a chi le tocca le sue caramelle al pomo. Poi magari è diventata lo stesso ingegnere nucleare, scopre vaccini o salva vite umane sul tavolo operatorio, chi si può permettere allora di dirle che avrebbe potuto vivere con maggior pienezza la sua vita fin lì se fosse stata educata meglio in campo musicale? Se invece di “sentire” sempre gli stridori stonati di un “pupeggiante” vino ordinario in cartone avesse “ascoltato” le strutturate e sublimi costruzioni di un beethoveniano Brunello di Montalcino (i lambruscofili non me ne vogliano)?
E il quesito estremo cui la situazione devastata del nostro Paese ci porta a formulare polemicamente è: ma in fondo cosa c’entra la musica con la vita? Come possiamo far capire a una società che tra gli strumenti di solidità e difesa maggiori che potrebbe avere anche per affrontare congiunture inquietanti come quella che stiamo passando in questi anni nel mondo, ma sempre con questo specifico handicap di “italianate” in più che ci portiamo dietro, ci sarebbe quello di una migliore educazione musicale diffusa?
“Ma di che parla questo?” potrebbe insomma lecitamente affermare un lettore… (continua la prossima settimana)
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