La rete cablata di sinapsi crea un nuovo corpo sociale indignato.

La giornata di sabato 15 ottobre è ancora in corso mentre scriviamo e quindi ogni tipo di riflessione sconta giocoforza l’estemporaneità della “diretta”. In 956 città di 82 nazioni del mondo sono in piazza in questo momento centinaia di migliaia di persone che, convocate via internet, stanno dimostrando con una certa vivacità e fisicità il senso di “indignazione” per lo sfacelo cui è stato portato il pianeta, per la deriva di un capitalismo selvaggio che in piena decadenza storica ha ormai portato a livelli inaccettabili le diseguaglianze, la povertà diffusa. In un sistema basato sui consumi è stato cancellato il ceto medio dei consumatori, basterebbe questo per chiedersi quali ubriachi possano aver concepito tale assetto lungimirante.

A Roma ci sono incidenti, vera guerriglia urbana, a Londra è addirittura apparso in piazza Julian Assange, il fondatore del sito Wikileaks, che ha preso la parola al microfono definendo quello degli Indignados come un movimento che “non è per la distruzione della legge, ma per la costruzione della legge”.

Nel mondo del Terzo millennio, nel quale i media sono ormai quasi completamente asserviti a questo o quel potentato più o meno multinazionale, che così controlla le coscienze di milioni di persone rincitrullendole con falsi miti e creando bisogni effimeri e ottundenti, in un mondo dove si è riusciti a far giocare i quarantenni e i cinquantenni “bimbloni” con gadget come cellulari, iphone, tablet, sms, consolle per videogiochi (se ce l’avessero detto mettiamo nel 1978 non l’avremmo giammai creduto), in un mondo dove milioni di donne sono convinte che farsi il becco a papera e le tette antiaffondamento con il silicone sia la miglior forma di emancipazione dalla cultura maschilista e la sublimazione della loro femminilità illuminata, in un mondo dove ragazzotte squinternate affermano pubblicamente che venderebbero la loro madre per farsi concupire da un primo ministro durante un festino, sta accadendo qualcosa di forse imprevisto.

La comunicazione mediatica si era sostituita alle relazioni sociali, intercettando i significanti e i significati, artefacendo e sofisticando i messaggi, i valori. Le persone sembravano ormai trasmettersi il proprio senso rispettivo dell’esistere solo attraverso i paradigmi della tv spazzatura, dei reality, dei litigi nei talk show, ma ecco che la variabile impazzita della rete ha riaperto i giochi. Il web ha cablato le coscienze, ha permesso a ogni persona di mettersi in consonanza, di risuonare cioè simpateticamente con tutti coloro che, sparsi nel pianeta, possono condividere una determinata vibrazione, un’idea, un afflato. La crisi devastante ha scatenato le energie e la rete di sinapsi che ormai avvolge buona parte del globo ha cominciato a impazzire di connessioni, di social network ove le persone, venendo allo scoperto sui propri gusti e sensibilità, riescono finalmente a raccogliersi di nuovo attorno a spinte ideali e concettuali, dalle più frivole alle più pregnanti. Come una nuova forma di piazza, di agorà, la rete diventa organismo pensante composto di tante cellule-neuroni ognuna delle quali è quel particolare e singolo individuo che sta davanti alla propria periferica, il proprio monitor o display. E così, organicamente, nasce un “corpo”, un “corpo sociale”, che agisce in modo almeno parzialmente coordinato, coerente e le persone tornano a sentirsi vive e partecipanti di un destino condiviso e forse, almeno in parte (non facciamoci eccessive illusioni), libero dal controllo scientifico della casta dei potenti del mondo.

La società è cambiata, il capitalismo non si è adeguato a questo, la produzione non è più nelle fabbriche, come taluni sottolineano, ma è nella società stessa, è diventata “biopolitica” e questo precipita i titoli della rendita sul piano dei conflitti sociali creando bolle speculative impressionanti. C’è una sproporzione mostruosa fra ciò che la società produce e ciò che il capitale finanziario può commisurare e il terreno sociale è in subbuglio, ma non potrà che essere lo scenario ove il capitalismo dovrà sapersi riorganizzare, dandosi nuove regole all’insegna dell’uguaglianza. Che poi questo sia utopistico, beh siamo i primi a pensarlo. Chiudiamo con una favola che vorremmo leggeste:

La crisi degli asini

“Un uomo in giacca e cravatta apparve un giorno in un villaggio. In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino che gli sarebbe stato offerto. I contadini erano effettivamente un po’ sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.

L’uomo venne anche il giorno dopo, questa volta offrì 150 € per asino e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali. Il giorno seguente, offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio. Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.

Il giorno dopo, affidò al suo socio la mandria che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l’ordine di vendere le bestie 400 € l’una. Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 €, la settimana successiva tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini a quattro volte il prezzo al quale li avevano venduti e, per far ciò, s’indebitarono con la banca. Com’era prevedibile, i due uomini d’affari andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fino a sopra i capelli. Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il prezzo dell’asino era crollato. Gli animali furono sequestrati e affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere. Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune. Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore). Eppure quest’ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria, non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio ne quelli del Comune e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti. Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi d’interesse, il Comune chiese l’aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.

Su consiglio disinteressato del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese: meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità. Venne innalzata l’età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate. Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini. Questa triste storia diventa più gustosa quando si scopre che il banchiere e i due truffatori sono fratelli e vivono insieme su un isola delle Bermuda, acquistata con il sudore della fronte. Li chiamiamo fratelli Mercato. Molto generosamente, hanno promesso di finanziare la campagna elettorale del sindaco uscente. Questa storia non è finita perché non sappiamo cosa fecero gli abitanti del villaggio, tutti indignatissimi”.

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