Se fosse per me, gli attuali esperti di pubblicità e marketing li manderei tutti a cavar patate, fino a che non avessero cambiato i modelli della pubblicità. Appartengo alla generazione di Carosello, momento televisivo atteso con grande interesse da grandi e piccini, che segnava il solco del proseguimento della serata per i primi, e dell’andata a letto per i secondi. Quel breve format era la quintessenza dell’impegno di attori famosi, cartoonisti e registi, a servizio delle aziende più importanti dell’epoca, per mettere in evidenza i prodotti migliori. Gli sketch più famosi erano interpretati da personaggi del calibro di Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Gassman, Vianello e Mondaini, Calindri, Arbore e via discorrendo, il meglio della recitazione italiana, così come registi magistrali, quali Olmi, Avati, Fellini, Pasolini, Leone, solo per citare i più famosi, creavano i brevi filmati. Chi non ricorda poi, se si è almeno di mezza età, i personaggi di Calimero, Carmencita, Jo Condor, l’Olandesina, Miguel, l’Omino coi Baffi, il vigile Concilia, Susanna Tuttapanna, Caio Gregorio, ecc? Quegli sketch, spesso comici, erano l’unico mezzo per trasmettere pubblicità, in quanto non era concessa prima e all’interno di alcun spettacolo televisivo. In questo modo i messaggi venivano assorbiti e memorizzati dagli utenti in maniera gradevole e più duratura rispetto al bombardamento continuo che avviene ai nostri giorni. Con l’effetto di un fastidio sempre meno tollerato, al punto di farci cambiare prontamente canale. Non parliamo poi di internet, dove, quando apriamo un sito che attira numerosi utenti, appare immediatamente una pubblicità, col risultato di indurci in un riflesso condizionato, a cercare la crocetta da schiacciare per eliminarla, non prestandole di conseguenza alcuna attenzione. Poi, parlando dei contenuti, cosa ci fa lo spagnolo Banderas, nella veste di mugnaio, a parlare con la gallina dell’italianissimo Mulino Bianco? O le modelle algide, con quell’incedere da stronze, testimonial di profumi, che non permettono a molti, poco padroni della lingua inglese e francese, di capire un’acca delle parole da loro sussurrate velocemente, col risultato di rendere invise quelle costosissime essenze? O gli ossessionanti riferimenti al sesso, propinati in tutte le salse? Certamente la pubblicità porta denaro alle reti televisive, come a tutti i media, oggi i prodotti sono infiniti, ma dubito che gli utenti dei messaggi vengano influenzati negli acquisti come qualche decennio fa, anche a causa di una crisi sempre più stringente, che non permette di cavarsi un gran che di voglie. Bisogna rivedere il motto: la pubblicità è l’anima del commercio, almeno nelle formule vetuste, mentre sono da apprezzare le sponsorizzazioni sportive, di eventi, mostre, spettacoli, che fanno crescere culturalmente e non invadono il cervello con messaggi ripetitivi, fastidiosi e ridondanti
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