Una volta Madre Teresa di Calcutta era in treno. Salì un uomo dal viso emaciato, si fece posto tra la folla di passeggeri, la vide, la guardò a lungo, intensamente, e le disse : “Ho sete”.Gesù stesso, quando sapeva che ogni cosa ormai era stata compiuta, povero corpo guastato dal dolore sulla croce, disse per adempiere la Scrittura, (e iniziando a guardarci intensamente , senza più smettere, da allora) : “Ho sete”.Uno studioso americano ha notato che nel Vangelo di Marco ci sono ben 114 domande senza risposta. “Caro lettore” – osserva Fokker, questo il nome dello studioso – “nessuno ti toglierà il compito di cercare tu stesso. C’ è una tua fatica della sete”.Da dove proviene, in ognuno di noi, persone religiose o no, questa sete ?Certo, può nascere in tanti modi dalle vicende della vita. Ancora bimbi può nascere da un incidente che ci strappa per sempre chi stava insegnandoci ad amare. Da adolescenti può nascere in un ambiente che non si prende cura di noi e, nella sua laidezza, ci deturpa rubandoci l’ esperienza della bellezza e della fiducia. Da adulti può nascere da un abbandono che ci umilia e ci stordisce quasi mortalmente. Da anziani da un lungo ieri che non ci accontentiamo di avere avuto.Ma c’ è una sete ancora più profonda, più vitale, che tutti ci muove indistintamente a fianco del Poeta (Dante Alighieri – Divina Commedia, Purgatorio – canto XXI) :“La sete natural che / mai non sazia / se non l’ acqua onde la femminetta /samaritana domandò la grazia / mi travagliava…”E’ quella che descrive Carlo Coccioli nelle pagine finali di “Uomini in fuga” (che avventura leggere questo libro traboccante di pietà, che fa toccare con mano quali abissi nasconde la perdizione di se stessi ma anche quale forza e quale luce può nascerne!) :“ L’ uomo assetato è colui che non accetta il mondo in cui si trova : né la sua formadi spazio né la sua forma di tempo. Da qui la sua nostalgia, da qui la sua inquietudine.E’ simile ad una sete : di un Paradiso Perduto, di un mondo prima della Caduta,di qualcosa che è remoto ma non dimenticato”.L’ esperienza – dapprima incerta, esitante, poi via via più gioiosa – di atti di amore attraverso i quali ci si prende cura, in qualche modo, della sofferenza altrui, attenua, quasi spegne questa sete. Si badi bene – è importante sottolinearlo – in questa esperienza non ha alcuna importanza l’ essere sul versante di chi riceve o di chi offre; ciò che conta, ciò che permette di com-passionarci (cioè di accendere e condividere la passione per la vita) sono l’ incrociarsi di uno sguardo o lo sfarfallare di un pensiero che si trovano in sintonia con un altro sguardo e un altro pensiero.Tutto qui ma è sufficiente per farci continuare il cammino nel nostro privato, a volte immenso, deserto.
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