Internet, privacy e prezzi

Sarà perché lo mettevo ampiamente in conto, ma lo scandalo degli americani spiati su internet che ha travolto Obama, mi lascia piuttosto indifferente.

Ci vuole davvero un’anima candida a credere che esista ancora qualcosa come la “privacy”. Diciamo che tra social network, email, telefonini, abbiamo dato in pasto al “grande orecchio” abbastanza informazioni da scrivere biografie dettagliate delle nostre vite. Finche non siamo nessuno, tutto okay, qualora divenissimo scomodi al potere, ciascuno di noi potrebbe vedersi messo di fronte a difficili prospettive.

Ma anche rimanendo su un piano più mondano, non è difficile notare altre forme di invasione della privacy, finalizzate al marketing. Ad esempio l’algoritmo di Google e la pubblicità targettizzata. Avrete notato che se per caso un giorno effettuate ricerche sul motore relative ad un prodotto, servizio o tematica, improvvisamente i banner pubblicitari che vedrete nei giorni successivi avranno per oggetto quel dato prodotto o servizio? Avete digitato su google “divani”? Ed ecco che per giorni vi ritroverete pubblicità di marche di divano. Avete googlato “carte di credito”? Ed eccovi Mastercard e Visa a ogni angolo di pagina.

L’algoritmo utilizza il vostro comportamento da internauta, la vostra storia di navigazione per “segmentarvi” e offrirvi pubblicità ad hoc. Certo, nulla di illegale o grave, però immaginatevi  il mondo in cui vivete, è un po’ come se fin da bambini all’asilo, invece che vivere un’esperienza condivisa, vi avessero divisi in classi fra “alti”, “bassi”, “biondi” o “mori” e sottoposti a stimoli e realtà differenti sulla base dei vostri gusti, caratteristiche o preferenze.

Ma quello che irrita di più, perché va a toccare il portafogli, è la discriminazione nei prezzi. Anche qui nulla di illegale, ma tende a fare piuttosto incazzare i consumatori, per questo motivo quando esce pubblicamente, le aziende tendono a giustificarla come una temporanea sperimentazione dell’algoritmo o delle strategie di prezzo. La discriminazione di prezzo, che già esiste banalmente fra una nazione e l’altra (ad esempio una borsa di Gucci in Russia può costare un prezzo diverso che in Italia, e non per un fatto di trasporti), quando viene applicata agli individui sulla base della propria storia d’acquisto, fa girare molto più i cosiddetti: in sostanza, due persone diverse che comprano lo stesso prodotto su Amazon lo pagano prezzi differenti.

Se volete fare un esperimento, e la cosa mi ha dato fastidio non poco, provateci anche con la nostra “amata” Trenitalia. Ho tentato di acquistare un biglietto, ma al momento di finalizzare l’acquisto richiedeva una login. Così ho dovuto ritornare alla home page. Il mio comportamento esprimeva una chiara volontà di acquisto avendo cercato di chiudere la transazione (rispetto al semplice scorrere le soluzioni). L’algoritmo deve averlo capito e mi ha alzato il prezzo di 10 euro!

Cambio PC e riprovo. 29 euro al primo tentativo, non lo concludo. Ricomincio dalla home ed ecco 39! Cancellare la cronologia non serviva, così per acquistarlo, alla fine ho scorso varie date alternative, per poi ritornare su quella da me voluta e concludere al prezzo di 29.

Insomma, occhio non solo alla privacy, ma anche al portafogli!

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