Income inequality. Disegualianze, e nuove oligarchie

L’idea che pochi ricchi e potenti possano riunirsi per decidere i destini del mondo in maniera sovrana rispetto agli stati, viene spesso derubricata come cospirazionista: se ci si discosta dalla versione “ufficiale”, anche con ipotesi ragionevoli, il ragionamento viene automaticamente ritenuto cospirazionista, quindi risibile.

Guardando i numeri tuttavia, scopriamo che per esempio nel 2013 (e dopo la pandemia questi dati sono ancor più estremi), 300 individui al mondo, ossia un numero che potremmo riunire in un solo aereo o magari in qualche consesso come il Google Camp, Aspen Institute o una riunione del gruppo Bildenberg, possedevano tanto quanto tre miliardi di persone al mondo.

Dal 1980 vi è stata una enorme migrazione di ricchezza pubblica verso quella privata, che ha portato nazioni sviluppate ad avere un saldo zero o persino negativo, quindi se persino vendessero tutte le proprie strade, scuole e azioni e musei, non avrebbero di che ripagare i propri debiti. Al contrario dei privati, negli Stati Uniti l’1% dei più ricchi, in vent’anni, è passato dal possedere il 20% al 40% della ricchezza del paese.

L’idea dunque che i governi e il voto popolare non contino molto e che le nazioni siano ormai ostaggio di ricchezze private, fondi, enormi multinazionali apolidi, e varie lobby, potrebbe quantomeno balenare in una mente assennata se non altro in forma di ipotesi.

Come contrastare la income inequality, che peraltro ha molte cause insite nel sistema economico e nella natura umana, non necessariamente solo nell’avidità dei pochi, viene discusso raramente, si parla di gente che non arriva a fine mese ma sempre come argomento isolato, raramente nel contesto più ampio della distribuzione della ricchezza e del suo andamento globale.

Del resto, seppur con condizioni di vita enormemente innalzate, in tanti abbiamo il bagno in camera, l’aria condizionata, un iphone e una playstation con cui ingannare il tempo, la situazione non è troppo diversa da altre epoche storiche, in cui aveva vissuto, per esempio, Maria Antonietta.


E siccome la storia insegna che poi scoppiano le rivoluzioni, chi sta in cima alla piramide si è attrezzato. Oggi infatti, oltre al pane, ci possono fornire una miriade di circensi, persino cuciti su misura per ogni individuo, di cui grazie ad A.I e big data, conoscono tutto. E quindi diventa fondamentale mantenere il popolo sotto una sorta di ipnosi (social media, realtà virtuale, intrattenimento, gioco d’azzardo, pornografia, consumismo, alcol, droga), così che continui a correre sulla ruota del criceto in un ciclo di debito e consumo sostanzialmente ormai inestinguibile per la maggioranza, che non potrà mai accedere ad alcuna vera libertà finanziaria.

Un contesto, e una struttura simile ai film “hunger games” per interpretare anche l’ideologia “progressista” che permea il nostro tempo, propagata in primis dalle università, nonché dalle multinazionali e influencer vari.

Nel 2011 un risveglio di massa e un movimento contro l’ineguaglianza e il potere economico finanziario sulla politica aveva effettivamente visto la luce. E si trattava di Occupy Wall Street.

A quel punto, oltre a soffocare la protesta sul piano materiale, successe qualcosa di enorme, sotto traccia. Guardando ai numeri, testate come New York Times, Los Angeles Times, Washington Post, Wall Street Journal (senza contare TV e social), proprio dal 2011, hanno quadruplicato o anche decuplicato l’uso di termini come “razzismo”, “sessismo”, “patriarcato” ecc.


Articoli su questi temi sono letteralmente esplosi. In sostanza, annusando il pericolo, queste elites hanno astutamente trasformato quella che stava per diventare una lotta di classe, in una lotta tra razze o fra generi.

Il piano ha funzionato magnificamente, anche grazie al consumo di media in tempi di pandemia, con tutti in casa attaccati ai telefonini. Eserciti di progressisti fungono da censori della rete annusando come segugi ogni sbavatura che possa essere considerata razzista o sessista. Le università insegnano sempre meno abilità utili a un mondo del lavoro che invece remunera con cifre a sei zeri competenze tecnologiche che si apprendono online a un quinto del costo, ma sono sempre più preoccupate di inculcare nelle giovani menti una propaganda che includa concetti come unconscious bias, gender theory, affirmative action, a prescindere dalla facoltà . I dipartimenti HR di multinazionali possedute appunto dall’1% sono ormai una sorta di propaganda di partito, dedita alla censura e imposizione del linguaggio unico, organizzazione di microaggression training, ossessionati da programmi di diversity & inclusion, e soppressione del pensiero critico (altro che valorizzazione dei talenti, dato che chi ragiona e vede la realtà, in azienda è spesso visto come un pericolo).

Ma se il razzismo funziona particolarmente bene in USA, il vero colpo di genio è stato creare un conflitto costante fra donne e uomini, che invece è molto più esportabile globalmente e che infatti dopo aver dilagato in occidente sta arrivando persino in Asia, non storicamente considerata un faro di progresso (e progressismo) femminile, ma dove in realtà molti paesi vedevano ancora un rapporto sereno tra i sessi quantomeno nel vivere e interagire quotidiano che più ad ovest si è ormai perso da tempo. Lo stratagemma delle elites applicato con successo in occidente è quello di convincere le donne di vivere tuttora in una terribile società patriarcale, nonostante questa teoria non si prenda la briga di spiegare numerosi fenomeni. Per citarne alcuni, come sia possibile che una società teoricamente costruita ad uso e privilegio dell’uomo, mandi a morire in guerra o sul lavoro nei mestieri più usuranti e pericolosi al 90% uomini, o come sulle scialuppe salgano prima le donne per salvarsi e tante altre statistiche sfavorevoli al genere maschile, su cui  però si chiude un occhio senza pretendere un 50-50% o quote rosa come invece si fa per i board delle aziende o altre posizioni altamente desiderabili, che sempre secondo la teoria gli uomini avrebbero necessariamente conquistato solo per privilegio, senza considerare invece per esempio l’esistenza di differenze di personalità tra i sessi che la ricerca ha dimostrato essere alla base di molte scelte ed esiti differenti nel campo professionale. Confondendo peraltro il garantire quote di genere o di razza (uguaglianza di risultati), con l’uguaglianza di opportunità.

In tale società pseudo-patriarcale, le donne sono chiamate a una costante guerra per i diritti, che ormai in molti casi travalica nella caccia al privilegio, autoassoluzione continua e colpevolizzazione del sesso opposto, fomentata dai media con sentimenti di ostilità, risentimento, e rivalsa e che alla fine creano questa tensione e incomunicabilità fra un 50% della popolazione e l’altro. Conflitto che infine si traduce anche nella perdita della cosa più naturale che i due generi sarebbero chiamati a fare: il sesso. Nel 2021 in USA la percentuale di uomini fra i 18 e i 30 anni che riporta il non aver avuto alcun rapporto sessuale negli ultimi 12 mesi è salita al 28%!

Per dirla in maniera brutale il programma di chi sta in cima alla piramide prevede una società  di individui che non fanno nemmeno sesso,  frustrati, impoveriti, che alla fine lavorano per il padrone, con la faccia incollata ai telefonini dove “consumano” media e acquisti spazzatura e che si fanno la guerra gli uni con gli altri dando a un genere o una razza la colpa della loro miseria e depressione indotta da questo stile di vita, mentre l’ 1%  continua ad accrescere la propria ricchezza, per comprare yacht sempre più grandi e superare di un metro quello dell’altro miliardario ancorato a fianco nel porto.

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