Il Settecento a Verona Tiepolo Cignaroli Rotari, la nobiltà della pittura

copertinaLe Arche Scaligere, Pisanello, Andrea Mantegna, Michele Sanmicheli e Paolo Veronese: sono questi i ‘momenti forti’ che si affacciano subito alla memoria di chi pensi alla storia artistica di Verona. A ben pochi verrebbe in mente il Settecento. Per questo l’impresa cui si è accinto un gruppo di lavoro – eterogeneo, ma agguerrito, espressione di varie competenze e istituzioni (dal Museo di Castelvecchio di Verona all’Ermitage di San Pietroburgo, dalla Gemäldegalerie di Dresda alla Fondazione Cini di Venezia, alle Università di Verona, Padova e Venezia) – si è configurata piuttosto come una sfida: dimostrare come anche nel pieno secolo dei Lumi Verona abbia espresso idee originali e di alta qualità in campo artistico. Ne è risultata una mostra, aperta il 26 novembre 2011 nelle sale della Gran Guardia a Verona, da cui emerge nel complesso una sostanziale autonomia della città rispetto a quanto si andava elaborando contemporaneamente a Venezia. Come i nobili veronesi compivano i loro percorsi formativi nei collegi di Modena e Parma, così gli artisti scaligeri evitavano, con qualche rara eccezione, la capitale della Serenissima per studiare a Bologna o a Roma: presupposto fondamentale, questo, per comprendere come agli aspetti più frizzanti del rococò lagunare essi abbiano sostituito nel corso del secolo un linguaggio calibrato, basato sulla correttezza del disegno e sul concetto di “decoro” e “buon gusto”. Un linguaggio, in altre parole, “classico” e “nobile”, per richiamare il sottotitolo della mostra. Pone i fondamenti di tale stile Antonio Balestra (1666-1740), che era stato uno dei principali attori della pionieristica mostra di Licisco Magagnato del 1978 su La pittura a Verona tra Sei e Settecento: ora nelle sale della Gran Guardia si può ammirare anche una sua grande Teti nella fucina di Vulcano, dipinto che in questa occasione si è potuto riconoscere come uno dei sei quadri che nel 1717 l’artista aveva inviato a Rotterdam, probabilmente a Hugo du Bois, fiduciario della Compagnia delle Indie Orientali. Nel percorso espositivo la tela è la prima di una serie di opere che documentano il successo internazionale della produzione pittorica veronese durante tutto il Settecento, ben lungi dall’essere confinata entro i confini cittadini. Ne sono indiscussi protagonisti Pietro Antonio Rotari (1707-1762) e Giambettino Cignaroli (1706-1770). Il primo, allievo di Balestra, lascia Verona nel 1750 per trasferirsi prima alla corte imperiale di Vienna, subito dopo a quella di Dresda e infine dal 1756 presso la corte di San Pietroburgo, chiamato dalla zarina Elisabetta Petrovna. Alcuni prestiti prestigiosi danno conto della sua fama in tutta Europa: l’Ermitage di San Pietroburgo ha inviato l’Alessandro e Rossaneche Caterina II di Russia aveva acquistato dall’originario possessore, il conte Heinrich von Brühl, potentissimo ministro di Augusto III di Sassonia; la Gemäldegalerie di Dresda ha concesso due dei dieci ritratti con cui Rotari aveva effigiato tutta la famiglia reale dello stesso Elettore di Sassonia, nonché re di Polonia: Elisabeth e Cunegonde von Sachsen, che testimoniano alla perfezione del raffinato naturalismo cui Rotari era pervenuto, vivificato da un calore di cordiale partecipazione e da una vocazione innata all’eleganza. Posto a parte meritano le sue celeberrime ‘teste di fantasia’ – “passioni dell’animo” sono definite dai contemporanei, a sottolinearne il carattere quasi da repertorio di stati emotivi. La rassegna offre la possibilità di ammirarne dodici, da collezioni pubbliche e private: nei brani migliori, come quello scelto per l’immagine della mostra, Rotari raggiunge esiti di sublime raffinatezza, degna di un Liotard.

L’altro “eroe” della mostra è Giambettino Cignaroli. A differenza di Rotari, non si sposta quasi mai dalla città ma le sue opere vengono richieste da sovrani, alti prelati, nobili di mezza Europa. Non è privo di significato che nel 1769 l’imperatore Giuseppe II si sia fermato a Verona per visitare il suo studio, chiaro indizio della fama raggiunta dal pittore. La delicatissima Danae per il re di Polonia, arrivata da Varsavia, o la pala realizzata nel 1759 per la regina di Spagna e prestata dal Museo del Prado di Madrid, attestano il favore incontrato da questa pittura colta, di tono ‘alto’ da un lato; dall’altro incline a un suasivo patetismo sentimentale, particolarmente funzionale alla pittura religiosa. Merita pure di ricordare che la mostra di Verona – che raccoglie i frutti degli ultimi decenni di studi sull’argomento – ha permesso anche di riconoscere e di presentare al pubblico per la prima volta la tela che Cignaroli aveva dipinto nel 1761 per la zarina di tutte le Russie: un’Angelica e Medoro che proviene da uno dei palazzi imperiali, la residenza di Peterhof.

Il classicismo, che è parte costitutiva intrinseca della cultura pittorica veronese, arriva a saldarsi direttamente con i sentori di una nuova sensibilità: due tele impressionanti, che il Museo di Budapest ha generosamente prestato, aprono direttamente la via al neoclassicismo: rappresentano la Morte di Socrate e la Morte di Catone, due exempla virtutis che Cignaroli eseguì nel 1762 per un altro committente di rango, Carlo di Firmian, ministro plenipotenziario di Maria Teresa d’Austria.

E così, tra pale, quadri di storia, paesaggi, immagini della città (due vedute di Bernardo Bellotto su tutte), allegorie e favole del mito – interpuntati da sculture che dialogano strettamente con i dipinti nell’allestimento di Alba di Lieto e Nicola Brunelli – il visitatore si avvia alla fine di un percorso che si snoda attraverso più di centocinquanta opere. Ma lo attende un’ultima sala.

Qui non un veronese, ma un veneziano domina la scena: quel Giambattista Tiepolo che nel 1761 era arrivato a Verona per affrescare la volta del salone di palazzo Canossa in occasione delle nozze di Matilde di Canossa con Giambattista D’Arco. La storia ha voluto che quell’affresco, crollato nella notte del 23 aprile 1945 in seguito alla distruzione del vicino ponte di Castelvecchio, arrivasse a noi in oltre 50000 frammenti. La Soprintendenza, nell’occasione di questa mostra, ha aperto le casse che ancora li custodiscono, ne ha riassemblato una superficie di oltre un metro e mezzo e contemporaneamente ne ha elaborato per via informatica le scansioni fotografiche, suggerendo una via diversa, alternativa, per la restituzione di quel capolavoro. Per di più, le cinque, spettacolari sovrapporte tiepolesche su fondo oro, che sono sopravvissute ai disastri della guerra ed escono per la prima volta, dopo duecentocinquanta anni, dal palazzo per il quale erano state dipinte a completamento del grande soffitto, sono ora finalmente confrontabili con i relativi disegni preparatori di Tiepolo, oggi custoditi al Victoria & Albert Museum di Londra. p>

La mostra Il Settecento a Verona. Tiepolo Cignaroli Rotari, la nobiltà della pittura – voluta dal Comune di Verona e dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza – è a cura di Fabrizio Magani, Paola Marini e Andrea Tomezzoli: allestita nelle sale del palazzo della Gran Guardia a Verona, rimarrà aperta fino al 9 aprile.

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