Il racconto di G.Pisano. Vicini

– Bisogna farla finita con quella bestia immonda dei vicini!-. La moglie del dottore ruppe gli indugi e si piazzò davanti al marito immerso nella lettura delle pagine finanziarie del giornale, come suo solito. – Quello- proseguì – è un cane che farebbe paura ai morti: figurarsi al nostro piccolo Serafino…dobbiamo fare qualcosa- aggiunse, quasi implorando-… -Ma tu non sai pensare ad altro- bofonchiò il dottore, senza alzare gli occhi dalle sue amate tabelle. -Certo, per te è facile, te ne stai tutto il giorno fuori casa- piagnucolò la moglie. – Insomma, cosa volesti fare- biascicò il dottore, fingendo un minimo d’interesse alla questione. – Piazzare una rete metallica lungo la cancellata per esempio, fino a coprire la vista dalla strada sul nostro giardino, impedendo a quella bestiaccia di ringhiare verso il nostro povero Serafino…magari funziona. Sarebbe già qualcosa-. – Ok. Appena avrò un po’ di tempo provvedo io-. -Bene, amore; purché- sibilò la moglie poco rassicurata- non faccia passare anni, come quando si doveva imbiancare la cucina che se si aspettava ancora un po’, bisognava entrarci con la torcia elettrica anche di giorno, per poter vedere con quei muri lerci!- 2 La moglie dell’idraulico guarda dalla finestra della sua camera sul bel giardino di cui va tanto orgogliosa. Poi dà una sbirciata su quello dei vicini. E’ preoccupata, come sempre, che da un momento all’altro non esploda la solita rissa tra il suo placido Dick ed il cagnetto dei vicini. – Oggi non è ancora successo niente. Pensa. – Non si capacita, lei, che il suo pacifico lupone possa essere continuamente aggredito da quel cagnolino che, se non ci mettono sopra il dorso un cartello tipo “non calpestare”, finisce, schiacciato sotto un piede distratto, un giorno o l’altro. – Sa bene, lei chi è l’aggredito e chi l’aggressore; ma la soggezione nei confronti di quei vicini tanto per bene, le impedisce di affrontare la questione a viso aperto. Suo marito ogni tanto la consola: – non prendertela, mogliettina mia, vedrai, prima o poi le cose si aggiustano e quel cagnetto tanto grazioso si abituerà al nostro Dick. Tutto si sistemerà sena drammi; di solito tra le bestie succede così. E intanto quel momento non veniva mai; erano mesi e mesi che lei lo aspettava. Ameno avrebbe potuto uscire da casa senza dover arrossire ogni volta che incontrava quella signora tanto fine. Certo, un po’ superba lo era; ma dopotutto era ben la moglie d’un dottore! Alle volte pensava –potrei portarle qualche sformato, che tutti mi fanno i complimenti per come mi vengon bene…-. Quegli sformati, ingenua com’era lei non lo poteva sapere, impregnavano l’aria circostante di un profumo…una fragranza tale da causare veri e propri conati di bile e invidie violacee alla sua vicina. -Ma che ci posso fare, sospirava la poverina, con quello sguardo di disprezzo che mi getta addosso ogni volta che la incontro per str5ada, mi mette una soggezione… è sicuramente per la faccenda dei cani!-. 3 Gli occhi fintosonnacchiosi di Dick, sentendosi addosso lo sguardo della sua apprensiva padrona, circumnavigavano dalla finestra incorniciata da quell’immagine materna e protettiva, a quel terribile cancello oltre il quale il nemico, mimetizzato come sempre, non aspettava che qualsiasi pur lieve movimento per rompere i timpani, suoi, della sua padrona, e di tutto il vicinato. – Ma proprio a me doveva capitare, pensava il povero Dick, uno così incazzoso che una bella analisi dallo psichiatra non gli faceva male, né a lui, né ai suoi degni padroni; che gli si spiegasse che i tempi eroici sono finiti anche per la nostra razza. – Gli spiegasse ( e ci vorrebbe un buon psichiatra) che ormai, con una cuccia confortevole, cibo assicurato ogni santo giorno, soggiorno in un quartiere di tutto rispetto, dove tanti umanoidi vorrebbero vivere, sarebbe ora di darsi una calmata. Tanto più con un dirimpettaio così per bene come lui…che se i loro avi li vedessero qui, resterebbero a bocca aperta scoprendo a quale livello di benessere siamo potuti arrivare anche noi cani. E senza fare nulla, per giunta! – L’ha detto anche quella specie di corvo o che appare ogni domenica mattina alla televisione, sempre vestito di nero e che i miei padroni dicono che è molto preparato ( e si capisce da come parla bene), che siamo tutti figli di dio che ci manda tutto questo benessere. – E questo stronzo, anziché godersi la bella vita, mi rompe le palle (che a me se me le leccano mi piace di più). – Solo per amore e riconoscenza verso la mia padrona non lo schiaccio con una zampa, che altrimenti sarebbe una tragedia con quei nasosempreinsù dei suoi padroni; e addio pace e città. Sicuramente mi trasferirebbero subito in campagna, con tutte quelle stupide galline intorno e quelle puzze che fanno e che non sanno più neppure fare l’uovo senza starnazzare e urlare a tutti i venti che glielo vengano a togliere da sotto il culo. – No, no, sopportiamo in silenzio; del resto quello della domenica mattina ala televisione- che quando parla mi fa venire il sonno- non dice sempre che ognuno ha la sua croce?-. 4 Il dottore rincasava sempre alla stessa ora. Aveva un bel tratto da percorrere in auto; la sua banca si trovava in un quartiere degradato della periferia sud, nella parte più bassa della città. Esattamente si trovava sotto la collina intorno alla quale si erano sviluppati i nuovi quartieri dei recenteinurbati. Erano quartieri da cui provenivano chi copre tutti quei servizi di molto lavoro e poco guadagno che rendono più piacevole la vita dei fortunati abitanti dei quartieri alti. Quartieri dai quali – e non a caso- si potevano godere riposanti viste sul mare, non lontanissimo. Il venerdì in cui successe il fattaccio, il dottore rientrava dal lavoro alquanto affaticato. Aveva dovuto rifare mille volte dei conti che non quadravano mai: mancavano sempre due euro e 25 centesimi, maledizione Un affronto per uno come lui che, non solo sapeva calcolare all’istante sette per otto, bensì quattropiùduepercento, diamine! Facile per un profano pensare di risolvere la cosa: ce le metto di tasca mia, pensa lo sprovveduto, ed è bell’e risolta. E invece, per gli arcani misteri che governano la contabilità e una sua coerente deontologia professionale, devi stare inchiodato a quei numeri finché dai medesimi venga fuori il fastidioso ammanco. La testa del povero dottore si era impigliata in quelle cifre, come un pesce nelle maglie d’una rete di pescatori. Finalmente ne era venuto a capo e ora guidava la sua auto con la schiena ben diritta, nonostante la stanchezza. Arrivato a casa, accostò la sua auto al cancelletto d’ingresso, dotato d’una apertura a cellula fotoelettrica di cui andava molto fiero. Era comodo entrare senza essere obbligato a scendere dall’auto; era particolarmente utile nelle giornate piovose o sciroccose. Sfortunatamente la maledetta cellula aveva cominciato da subito a fare le bizze. Così da qualche tempo bisognava tornare all’antico, nell’attesa che la ditta fornitrice esaurisse la chiusura per ferie. Con lo scrupolo che usava sul lavoro, infilò l’auto nel garage e chiuse delicatamente il portellone. Realizzò in quel momento che il suo Serafino non gli era venuto incontro come usava, scodinzolante e servile quanto a lui piaceva. L’aria ancora afosa gli fece supporre che il piccolo se ne stesse rintanato nella sua fresca cuccetta. Constatò subito che proprio lì se ne stava, il suo cuccioletto. -Serafino, tesoro, vieni dal tuo paparino che torna stanco dal suo lavoro-. Nulla; il nostro non si muove, non dà segni di vita: insomma, non ringhia come al solito. – Ma cos’hai, amoruccio mio- fa lui, allungando le braccia per estrarlo dalla sua tana e portarselo in casa. A lui piaceva vederselo intorno mentre si liberava di scarpe e vestiti sopportati con fatica durante le lunghe ore in ufficio. Nell’afferrare quel batuffolino tuttavia, avvertì la sgradevole sensazione di toccare un corpo freddo ed inerte. Si allarmò. Con voce strozzata chiamò sua moglie che arrivò di corsa, spaventata dal tono disperato e insolito della voce del marito. Costernati, dovettero constatare entrambi che il loro amato era defunto: trapassato definitivamente a miglior vita (sua e, forse, di qualche altro). Era spirato nel suo giaciglio; in modo sereno a giudicare da musetto. In tutta la sua breve, ancorché intensa esistenza, mai il suo nome aveva corrisposto, come nel momento del trapasso, a quella espressione pacifica. In fondo era stata una dipartita soave, di quelle che tanti desidererebbero: nel proprio letto. Piansero a lungo Venne purtroppo il momento di decidere cosa fare di quel cadaverino. _ Caro, supplicava lei, non possiamo eliminare la salma ( non osava parlare di cadavere) gettandola in un cassonetto, come fanno in questi casi. Mi fa impazzire solo l’idea. Che ne dici, continuò tra i singhiozzi, se cerchiamo piuttosto un luogo dove poterlo seppellire, vicino alla nostra casa… – Ma tesoro, non possiamo, non è mica in campagna…Non riusciva, l’infelice marito, a dare risposte alle domande fondamentali che ci assalgono in simili occasioni: dove, come, quando! L’idea però la accarezzavano entrambi E così, dopo qualche riflessione e molta titubanza, presero una decisione: alle prime luci dell’alba lui avrebbe scavato nell’aiuola dove si ergeva il grande pino, appena fuori del cancello. Nessuno si sarebbe accorto di nulla. Solo loro avrebbero custodito il segreto e la memoria del povero defunto. Ma, come nei romanzi gialli, un testimone ci fu: Dick 5 Quella stessa mattina, la moglie dell’idraulico uscì da casa assai presto. Aveva deciso di andare a far visita alla sua cara cognata che abitava fuori città: La poveretta aveva subito un intervento a causa d’un aborto, forse procuratole dalle grandi fatiche cui era andata incontro per la prematura morte del marito. Se n’era andato lasciandola sola con tre figli da allevare ed uno in pancia. Si accinse a percorrere quei duecento metri che la separavano dalla fermata dell’autobus; la testa le frullava intorno a pensieri tristi sulla sua cara parente. Attraversò subito la strada come faceva di solito per raggiungere la fermata dell’autobus che si trovava nel marciapiede di fronte alla sua abitazione e, come d’abitudine, buttò un occhio sul giardino dei suoi vicini attraverso il cancello. Tutto era silenzioso. Probabilmente anche il cagnetto dormiva ancora. Arrivata vicino all’aiuola dove troneggiava il grande pino, notò subito qualcosa di strano. Vide della terra rimossa di fresco. Fu poi attirata anche da un oggetto che, in quella luce obliqua di primo mattino, non riusciva a ben distinguere. Si avvicinò curiosa. Quello che vide le fece strabuzzare gli occhi. Rabbrividì; si sentì mancare. -Oh no, questo no!- esclamò a voce alta, in quella strada deserta, dove nessuno poteva udire il suo accorato lamento. Di scatto volge lo sguardo verso il suo giardino; vede il suo Dick che la osserva con aria gaudente, tracce di terriccio sul muso e tra i peli del suo stupendo manto marrone. Si accorge in quell’istante di essere uscita da casa cos’ soprapensiero, da non aver dato neppure uno sguardo fugace al suo Dick. Si precipita verso la sua casa, dove potersi rintanare, fraseggiando sconnessamente. Si accascia sulla prima sedia che trova e scoppia in un irrefrenabile pianto singultoso. Neppure una carezza per il suo Dick. –che guaio, che guaio povera me…- continua a ripetere. E già, da donna pratica qual è, rimugina su come rimediare al misfatto ed evitare la tempesta incombente con i suoi vicini. Chiama quindi suo marito, ancora intento a far colazione nell’ampia cucina; gli spiega cosa ha visto, suggerisce la cosa da fare. E con lui, subito consapevole del misfatto e delle gravi conseguenze che ne sarebbero potute scaturire, il piano architettato dalla consorte viene frettolosamente realizzato. Compiuta l’operazione, l’idraulico, già abbastanza in ritardo rispetto agli appuntamenti di lavoro, uscì con la sua auto e lasciò la moglie alla fermata dell’autobus più comoda per raggiungere la casa che sua sorella. 6 Dopo quella nottataccia, i vedovi del piccolo Serafino si erano permessi di recuperare un po’ di sonno, approfittando del sabato non lavorativo. Quel lutto, così repentino, li aveva davvero stremati. Alzatisi ad un’ora insolitamente tarda, avevano deciso sul campo di prendersi un giorno all’aria aperta là nella pineta che orlava l’arenile della vicina spiaggia; un sano polmone verde contro l’abbagliante luminosità della fine rena bianca e della chiazza azzurra del mare. Avevano giustamente pensato che passeggiare, contemplando dall’ombra dei pini l’infinita distesa di quella marina, fosse la cosa migliore da fare per sciogliere un poco il dolore che li attanagliava e i ricordi che affollavano i loro pensieri. Vuoi una bibita fresca?-, – no grazie-. Tanto per rompere il ghiaccio. Pic-nic, nel cuore della pineta; borsa-frigo preparata do cura. Il dottore si accinge Ad aprire la borsa…-ma io non sento fame-…- cara, bisogna reagire, la vita continua-…-sì, però ora il dolore è ancora troppo forte…dovremmo decidere come riempire questo vuoto-…-no, ora no cara non parliamo di questo adesso…-. Guardano entrambi, sconsolati, quella vasta infinità, il mare azzurro dove si perdono lo sguardo e i pensieri Rientrarono come previsto, quando il sole aveva desio di scomparire tra i soliti guizzi di rosso purpureo. Il dottore aprì il cancello con gesto svogliato e con il cuore in pena. Varcare quella soglia e sentire il vuoto fu tutt’uno. La moglie buttò uno sguardo misto d’invidia e d’odio nel giardino dei vicini, dove Dick, più vivo che mai, pareva indifferente alla pena di quei due: anzi, a lei sembrò di scorgere su quel brutto muso una specie di ghigno beffardo Entrò quindi in casa dopo aver chiuso rumorosamente il cancello dietro di sé con inusuale violenza, mentre il marito, un po’ esitante, si avvicinava alla cuccia del fu Serafino per appoggiarvi carezzevolmente la mano. Decise di estrarre la morbida copertina sulla quale per tanti giorni aveva appoggiato le esili terga l’amato pupillo. Nella penombra che ormai incombeva si accorse di qualcosa che ingombrava la copertina. -Cosa c’è- fece la moglie che lo osservava dalla finestra della sala, mentre armeggiava intorno alla cuccia. – Niente, c’è qualcosa sulla copertina di Serafino…adesso la tiro fuori tutta, magari…- aggiunse con voce un po’ alterata, – magari è l’osso, ehm, di plastica del nostro…-. Finalmente riuscì ad estrarre la copertina con un gesto brusco e deciso. La moglie lo vide sbiancare, lo vide barcollare, e infine stramazzare sul prato, come se qualcuno gli avesse sparato a bruciapelo, colpendolo al cuore. Si precipitò all’esterno facendo i pochi scalini dell’ingresso a quattro zampe per raggiungerlo, gettandosi sul suo corpo inanimato. Accanto al marito la copertina che lei stessa aveva amorosamente ricamo con un duro lavoro d’uncinetto. Aveva pensato a lungo prima di decidersi: che filo utilizzare? Cotone? No, meglio lana… e l’estate? Allora meglio seta…troppo costosa e poco resistente. E che dire d’un bel misto cotone-lino? Sì forse era la soluzione più saggia… ma, e i colori, o il colore? I colori, meglio i colori; e quali? E lì ad informarsi sull’influenza dei colori sulla psiche d’un cane. Dopo tanti dubbi e tentennamenti aveva infine scelto un bell’azzurro chiaro per i disegni; per lo sfondo un verde intenso che avrebbe dato senso di continuità con il prato circostante; rassicurante anche, a compensare eventuali turbe claustrofobiche, possibili in un così angusto abitacolo Su quella deliziosa copertina giaceva dunque, immobile, il loro Serafino: senza tracce di terra, né di sangue. Sì, il loro amato Serafino che sarebbe dovuto giacere sotto il maestoso pino dalla notte precedente, per l’eterno riposo. almeno, così lei aveva creduto. 7 Quando la sirena dell’ambulanza cominciò a far sentire da lontano il suo ululo, la moglie dell’idraulico stava rientrando dalla visita alla cognata, più triste di quando si era messa in cammino in quella mattinata densa di emozioni. Si fermò a metà.con alcune buste della spesa tra le mani, e si voltò per verificare se all’angolo con la sua strada, di cui ormai conosceva ogni pietra. quell’auto del malaugurio avrebbe svoltato. Così fu. Con i sensi di colpa di cui non era riuscita a liberarsi neppure un istante, si precipitò verso la casa dei vicini, ormai sicura che quella fosse la destinazione dell’autoambulanza. Vi arrivò trafelata. La luce del giorno stava annegando, inghiottita dalle lunghe ombre che il sole morente distendeva sui muri e sul selciato. Fece appena in tempo ad assistere al concitato parlottare della sua vicina con gli infermieri. Una lettiga fu quindi scaricata e ricaricata velocemente sul furgone, con il corpo del povero dottore. Che succede?- mormora la moglie dell’idraulico. –Mio marito…il cane- farfuglia la sua vicina tra i singhiozzi: I portelloni si richiudono dietro quelle parole sommesse. L’autoambulanza parte a razzo, così come era arrivata, a sirene spiegate. Angosciata e oppressa, la moglie dell’idraulico riprese i suoi sacchetti di plastica, pesanti ormai come macigni, e si avviò verso casa, incerta sulle gambe. Dick aveva assistito, come sempre, a tuta la scena con grande dignità ed una insolita espressione di impassibilità. Abbandonò quell’atteggiamento solo appena la padrona varcò il cancello, per disporsi a farle le solite feste. Lei passò diritta, come se non lo vedesse. La cosa lo seccò molto – mah, si disse, le passerà; si diresse verso la sua cuccia con qualche presentimento, tuttavia, per il suo immediato futuro, che lo inquietò. 8 Quei minuti che separarono la partenza dell’autoambulanza dall’arrivo di suo marito, le sembrarono eterni. Possibile che ancora non arrivi- pensava; e intanto riassettava la casa ( che di tutto aveva bisogno, fuorché di essere riassettata un’ennesima volta) In realtà, con la confusione che aveva nella testa andava creando disordine dove non ce n’era. Non si rendeva conto dell’unica cosa che doveva davvero fare: riporre nel frigo e nel freezer le scorte alimentari che aveva appena acquistato. L’idraulico arrivò alla solita ora, cioè una mezz’oretta dopo il drammatico evento. Esattamente alla stessa ora di sempre, benché alla moglie fosse sembrato un’eternità. – – Caro, oh caro, entra, è successo qualcosa che mi ha sconvolto… – – Calmati, tesoro, vorrei fare prima una doccia, sono…- .- Ma no, vieni, vieni subito in cucina, che nessuno ci senta…ti prego vieni subito e ascolta- Lo trascina in cucina e, senza neppure accendere la luce – …mentre tornavo dal market, bisbiglia, è arrivata un’autoambulanza ed ha portato via il dottore…- morto?- fa lui con una costernazione di circostanza. – Ma no, caro, cosa dici, gli è venuto un infarto o qualcosa del genere-. – Mi dispiace, fa, lui, ma perché sei così agitata?-. A quel punto lei gli riferì il breve scambio di parole avuto con la moglie del dottore e, di colpo, l’idraulico rivide la scena della mattina, cui non aveva quasi pensato durante la faticosa giornata di lavoro. La moglie vede la costernazione dipingersi sulla faccia del marito. Dopo qualche minuto di pesante silenzio tra loro, l’idraulico si riprende e cerca di rincuorare la moglie –Suvvia, cara, calmati un poco. In fondo, cerca di persuaderla e di persuadersi, il dottore ara molto affezionato a quella specie di cane; sicuramente ha avuto un colpo nel vederselo morto davanti agli occhi. Noi d’altronde non potevamo far altro che…-. – Sì ma il responsabile è il nostro Dick, singhiozzò la moglie, e se viene loro qualche sospetto?…e se…- – Ma andiamo amore, non può pensare che noi.- – E chi lo saprà mai? sospirò la moglie, che già vedeva il rapporto con i suoi vicini peggiorare anziché risolversi come aveva sempre sperato – Ma sì, domani mattina vai a far visita alla signora con la scusa di chiedere notizie di suo marito, e cerchi di capire cosa è successo-. Mentre parlava l’idraulico accarezzava la moglie teneramente -…su, non fare quella faccia…e se non mi dai qualcosa da mangiare vado all’ospedale anch’io. Su, prepara qualcosa, mentre mi metto sotto la doccia-.

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