Nell’ultimo articolo abbiamo riferito delle criticità nella formazione americana dei bambini maschi e della latitanza di modelli maschili positivi nella società contemporanea. Uno dei mille sviluppi di questo immane argomento può essere quello di darsi a un’analisi di un particolare episodio dell’Iliade che, in quanto classico, vale ancor oggi come testo di formidabile attualità (se solo nelle scuole si sapesse rifrangerne i messaggi nel mondo dei giovani attaccati a videogame, cellulari e iPod, cosa della quale, ci si perdoni, un po’ dubitiamo).
L’episodio in questione è quello dell’incontro fra Ettore, Andromaca e il figlio Astianatte narrato nel VI Libro, ove la moglie le prova amorevolmente tutte per dissuadere Ettore dal duello con Achille nel quale troverà probabile morte. Ci aiuta in questa lettura l’analisi acuta che ne compie lo psicanalista junghiano Luigi Zoja nel fondamentale volume Il gesto di Ettore – Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, edito da Bollati Boringhieri.
Tre figure maschili campeggiano nel mito omerico: Achille, Ulisse ed Ettore.
“Achille domina con le sue gesta. Ma – dice Zoja – la domina anche con la sua furia irrispettosa, egoista, omicida. Il suo coraggio e la sua forza sono i più grandi, ma non sono liberi da prepotenza. La sua qualità eroica è malata: guarirà solo nel finale, con la medicina del dolore”.
Ulisse riempirà anche l’Odissea con le sue avventure. Ma in esse nasconde il calcolo e da esse trae vantaggio. Il regalo di sé, che l’eroe dovrebbe consegnare senza riserve, nasconde un regalo a sé, di cui Ulisse è inventore ma, contaminato dall’utilitarismo, prepara le leggi del mercato. Il suo criterio non è la dedizione all’assoluto: strizza l’occhio alla modernità. In forma diversa, consapevole, un egoismo ha infettato pure lui.
Ettore non è così. È sottoposto a sua volta alle tentazioni. È tentato dal calore e dalla ragionevolezza delle donne, ascolta le voci dell’affetto e le proposte di compromesso. Ne riconosce le ragioni e il senso e senza moralismi le respinge. Le sue parole semplici ci raggiungono e ci toccano. Una qualità dell’eroe manca a Ettore: la hybris, l’arroganza che scompiglia come un cataclisma interno l’anima di Achille, di Agamennone, dello stesso Ulisse che infierisce sul Ciclope già torturato e cieco. Se nel VI libro Ettore dice di no alle donne e andrà in battaglia, chiudendosi per sempre nei suoi compiti di uomo con il suo impegno pubblico e militare, questo no ha qualcosa di comprensibile per loro perché è privo di hybris, perché detto dal ‘padre’ anziché dal ‘maschio’.
Andandosene, Ettore tende le braccia al figlio che però si ritrae spaventatodall’armatura e dal cimiero. A questo punto, si sfila l’elmo, lo pone a terra e può abbracciare il piccolo sollevandolo al cielo. Questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre. Ettore è già un padre nel senso affettivo e civile. È insieme due cose moderne: padre di famiglia e padre della patria. Sa che non basta aver dato un giorno ai figli la vita, bisogna riportarla ogni giorno a loro ripetendo su un altro piano la donazione.
Ma la nostalgia che Ettore diffonde indica solo che egli è sopravvissuto nella nostra psicologia, non nella società. Ciò che nella sua vicenda sentiamo reale e attuale non è la sua vita e la sua presenza, ma la sua morte e la sua assenza. La sua vicenda – ci ricorda Zoja – riassume anche l’intrinseca caducità del padre di tutti i tempi, l’immagine del padre che vorremmo ma che è stata uccisa da forme maschili più violente. Il mondo patriarcale ci ha abituati all’esterno della corazza, facendoci dimenticare che il suo senso sta all’interno: secondo un mito etimologico, corazza è ciò che protegge il cuore.
La modernità di queste analisi e delle copiose altre che Zoja profonde nel suo studio legando questo modello agli scenari della contemporaneità e delle dinamiche sociali e familiari, generazionali e (in)civili della nostra società, rivelano tutta l’urgenza e necessità di una riflessione sul tema della paternità e di quali forme di virilità maschile capace di collocarsi con determinante responsabilità nella complessità dei ruoli dell’oggi si possano perseguire.
Ettore padre, compagno di Andromaca, capace di ascoltare le donne, rispettare i patti civili, che non fa scempio del corpo dei nemici, che non usa furbizie utilitaristiche, che capovolge i valori del mito creando il moderno concetto di progresso ed evoluzione culturale intergenerazionale, che si spoglia dell’elmo per comunicare col proprio figlio in una virilità gentile e fiera, laica e tenerissima fa tremare le fragili fondamenta dell’inconsistenza valoriale della società attuale.
C’è una dimensione prospettica di campitura vastissima che può nascere in una riflessione su tali tematiche grazie alla classicità atemporale di questo testo epico. Urge un ragionamento sul maschio, sui padri, fuor da più o meno folcloristiche declinazioni modaiole. È un aspetto fondamentale nel percorso personale e collettivo di chi voglia guardare al “molteplice” esploso del XXI secolo sapendo attingere dai più lontani retaggi qualche archetipico riferimento, contro l’oblio sistemico di questa contemporaneità programmaticamente immemore, incapace di venire a capo dei mille frammenti di specchi in cui s’è frantumata.
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