Nel mio mestiere, quello dell’attrice di teatro professionista, capita di imbattersi più spesso che in altre esistenze, in domande estremamente difficili, complesse, spaventose. Ultimamente il mio lavoro mi ha portato ad interrogarmi sulla mia parte “impresentabile”. E’ quella componente, presente in ognuno di noi, che tendiamo a nascondere; a smussare, a volte anche violentemente; quella parte che spesso, in modo vile ma spontaneo, allontaniamo dai nostri stessi occhi.“Ce la raccontiamo un po’ su” se si tratta di indagare la nostra anima nera, diciamocelo. In special modo se iniziano a scavarci gli altri. Questo che viene compiuto è un processo umano, non giudicabile moralmente, un processo basilare che si chiama “sopravvivenza”.
Ma nel mio lavoro invece, la parte “impresentabile” dei personaggi e quindi di riflesso degli essere umani, è proprio quella che bisogna avere il coraggio di portare in scena. Il palcoscenico è per antonomasia una lente di ingrandimento, uno specchio, la cartina al tornasole più potente che esista per guardare in faccia la realtà dei tempi e gli uomini che li abitano.
Quando gli attori lavorano onestamente su questo processo, lo spettacolo vive sul serio, e parla allo spettatore. Tolta la retorica e la nobiltà dell’intento, questa cosa fa veramente una paura indescrivibile. Accendere la torcia della coscienza e guardarsi dentro è come accettare di buttarsi giù da un burrone senza fune di sicurezza. La grande potenza dell’impresentabile umano racchiude la maggioranza delle risposte ai comportamenti dell’essere umano stesso.
Chi ha davvero voglia di conoscere queste risposte? Chi è davvero pronto a conoscerle? …. Per usare un correlativo religioso sarebbe come se un credente affermasse di non avere alcuna paura all’idea di guardare in faccia Dio … la mancanza di timore mi puzzerebbe immediatamente.
Dopo settimane di lavoro, di pianti, di crisi, di momenti in cui ti senti davvero una persona orribile, un mostro disumano e senza cuore, si inizia a vedere una piccola luce, un senso a questa ricerca, il piacere del tuffo.
La mia breve riflessione si chiude con un invito a tutti voi, di fare ogni tanto un piccolo tuffo, ne per esigenza sceniche, nè per forzarsi ad essere a tutti i costi migliori (ci sono disumani straordinari), ma per sperimentare cosa vuol dire fare un bagno di realtà in se stessi, vedere che cosa c’è sotto tutto, cosa costituisce la propria base, il proprio seme. Sono certa che per fare qualcosa per l’umanità intera basti anche fare qualcosa per se stessi.
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