“Il matematico indiano” di David Leavitt

Godfrey Harold Hardy è un grande matematico inglese, nato nel 1877 e morto nel 1947, studente e poi professore a Oxford e a Cambridge, noto soprattutto per il suo libro “ A mathematician,s Apology” del 1940.David Leavitt è il grande romanziere americano che ci ha regalato quei racconti scritti su “Ballo di famiglia” e che fece scalpore quando uscì, cui seguì “La lingua perduta delle gru”, altro successo mondiale.Ebbene, dopo quei grandi affreschi su una certa realtà americana che quando uscirono ci sorpresero non poco, Leavitt va sull’altra sponda dell’Atlantico, per raccontarci, da par suo, di un mondo accademico che -a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo- ruota intorno alle celebri Università di Cambridge e Oxford in Gran BretagnaUn periodo e un ambiente, per intenderci, più volte rivisitato sia dalla letteratura che dal cinema (L.M. Forster e il suo romanzo “Maurice”. Portato sullo schermo da Ivory con lo stesso titolo; J. Mitchel e la sua piéce teatrale “Another country” da cui il film omonimo di M. Kanievska).E tuttavia l’originalità di questo romanzo sta nel raccontare le vicende che caratterizzarono quelle Università a partire dal protagonista -proprio il matematico Hardy- Il quale, intorno ai suoi 35 anni, già celebre per i suoi studi e le sue ricerche, prende in considerazione l’opportunità di far accogliere, in quella austera ed elitaria accademia, un giovane, povero e sconosciuto indiano di Madras che gli ha inviato una lettera in cui si dichiara in possesso della soluzione di un difficile passaggio matematico in cui è inciampato il grande matematico inglese.Le vicende narrate si svolgono attraverso una puntigliosa ricerca di tutti gli elementi rinvenuti dall’Autore negli archivi, o in altri materiali di varia fonte per farci rivivere un mondo affollato di giovani geni , le relazioni tra loro e con il mondo accademico, le loro passioni scientifiche ma anche sentimentali; il loro spirito competitivo, e le loro meschinità.I protagonisti sono i cosiddetti “Apostoli” il cerchio ristretto dove essi s’incontrano e in cui è difficilissimo entrare. Ne fanno parte uomini del calibro di Bertrand Russel e di M. Keynes. Del primo scopriamo, tra l’altro, che era un gran puttaniere; del secondo che era omosessuale, come lo stesso protagonista.Ci sono nel romanzo, pagine intere dedicate ai complicati dilemmi matematici in cui sono immersi coloro che a questa disciplina si dedicano. Ma, per i lettori che non sono interessati alla materia, esse possono essere considerate marginali per la lettura, e tuttavia utili per capire di quali fatiche e splendori questa disciplina è portatrice.La parte più affascinante del libro, pare a me, dove l’Autore dipana lo sviluppo dei rapporti tra il giovane indiano e il già celebre Hardy; l’incrociarsi di due culture così lontane – il razionalismo occidentale e l’intuitismo orientale, descritte attraverso l’arrivo e i l soggiorno del giovane matematico indiano, in un contesto così lontano da quello delle sue origini; il suo difficile inserimento in un consesso elitario fino ad un malcelato razzismo, La difficoltà persino di trovare alimenti, bevande, comportamenti igienici difficili da condividere. E, soprattutto, le metodologie scientifiche, attraverso le quali era considerato imprescindibile passare per essere riconosciuto come ricercatore degno di questo titolo.L’evolversi di questi rapporti segna l’essenza del libro. Le loro distanze siderali ,il cui unico punto d’incontro è l’ardente passione per i misteri matematici da sciogliere, è immerso in una dimensione umana che fa da contraltare, alla fredda ed affettata atmosfera che caratterizza i rapporti tra il gruppo degli Apostoli, e di cui soffre l’indiano , diviso tra l’interesse e l’orgoglio di essere in quel luogo, e le lancinanti nostalgie del mondo da cui si è dovuto separare.Per i rari appassionati di matematica pura, riporto qui le parole di Hardy che Leavitt riporta all’inizio del romanzo, tratte dal suo “ Apologia di un matematico”“Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà ormai dimenticato, perché le lingue muoiono e le idee matematiche continuano a vivere. Forse “l’immortalità” è una parola sciocca, ma, qualunque cosa significhi, un matematico ha le migliori probabilità di ottenerla”

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