Se ci si dovesse inoltrare nei meandri del tormentato Novecento europeo attraverso la letteratura, chi meglio di Proust, Joice, Musil, Mann, potrebbe darcene una rappresentazione più esaustiva e pregnante?
Ebbene, non c’è dubbio che l’opera di U. Tellkamp – un autore nato a Dresda nel 1968, che vive ora a Friburgo- intitolata “La torre”, ci dà, in ben 1303 pagine, uno spaccato impressionante della Germania dell’Est sotto il giogo sovietico, che sembra chiudere le grandi vicende del secolo scorso, attraverso -ancora una volta – le avventure di una grande famiglia di Dresda sino al crollo del muro di Berlino.
Con una eccezionale maestria l’autore racconta della famiglia Hoffmann, che vive in un quartiere residenziale della città, asserragliata, insieme ad altri ( le ville decadenti in cui abitano sono suddivise in ambienti ridotti, secondo direttive del Partito), coltivando musica, pittura, poesia, per sopravvivere all’inesorabile decadenza di un Potere sempre più burocratizzato e tiranno.
Nella folla di personaggi che Tellkamp tratteggia con abile trama e precisa psicologia, spiccano le figure di Richard, chirurgo, sua moglie Anne, i due figli Christian e Robert e lo zio Nemo. E’ quest’ultimo che, attraverso un suo diario, fa emergere i contrasti e le miserie del mondo in cui sono costretti a vivere tutti, e i compromessi penosi a cui ciascuno di loro si adatta per viltà o per ricatti sulle loro vite private, controllate dall’occhiuto controllo della polizia e delle spie del regime di cui pullula la società.
Intorno ad essi una galleria di personaggi che fingono di essere degli irriducibili “compagni” o sono dei furbi profittatori di un sistema ormai marcio. La Storia non è mai protagonista del romanzo, ma affiora da ogni pagina come lo sfondo imprescindibile delle vicende private.
Pagine memorabili descrivono Richard costretto a diventare un delatore, dalla sua relazione extraconiugale che lo condanna a salvare la sua reputazione e la sua famiglia. Così come dense di infelicità appaiono le pagine dell’agghiacciante esperienza del figlio Christian, anche lui interessato a studiare medicina e che invece viene chiamato al servizio militare, in luoghi e in situazioni umilianti e a confronto con la cinica morale di giovani che devono pensare solo a sopravvivere nel degrado ambientale che li circonda, pur nella diversa provenienza sociale.
La figura più complessa è tuttavia quella di Meno, che sembra riflettere più da vicino le simpatie dell’autore e che ci conduce per mano nei labirinti -a volte comici- del mondo cifrato in cui ci si muove quando si è di fronte ad un sistema rigido in cui è impossibile modificare un pezzo qualsiasi del puzzle.
Con l’avvento di Gorbaciov, la ribellione tuttavia cresce e Tellkamp ancora una volta ci conduce per mano verso la dissoluzione, non abbandonando mai il punto di vista dei suoi personaggi e le loro contraddizioni. E nel sanguinoso conflitto di piazza che l’accompagna,emerge la bellissima pagina su Anne ( la sposa, la madre): dalla figura sopraffatta dai suoi maschi di famiglia che appare lungo le vicende che si dipanano lungo tutto il romanzo,Anne diventa l’eroina di un’ irriducibile ribellione, disposta a tutto pur di riconquistare la libertà
Credo che la grandezza di questo romanzo sia soprattutto nella raffinata scrittura che l’ autore ha usato per raccontarci l’ultima, larghissima ombra che ha caratterizzato il 900 europeo e che Tellkamp ci ha saputo rappresentare con la grandezza dei grandi scrittori che ho citato. Un romanzo di non facile lettura, ma imperdibile per chi ama la grande letteratura. Dai Buddenbrook agli Hoffmann: storie su una Germania che ha davvero segnato alla grande il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle.
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