I media internazionali hanno una sorta di ossessione per I licenziamenti nel tech, come la ha l’algoritmo di Linkedin, dove campeggiano quotidianamente post con migliaia di reazioni ai dipendenti licenziati da Google, ora “Xooglers” come loro si definiscono, mentre le aziende nel manifatturiero, le fabbriche, i business della old economy legati a prodotti tangibili, quelli possono chiudere o licenziare nel silenzio. Di loro non importa a nessuno, perché non si chiamano Google o Twitter, e il dipendente medio non guadagna stipendi a sei cifre.
Il dipendente di Google viene sempre primo. Viene per primo tra le notizie dei feed di Linkedin, ma verrà per primo anche nei colloqui di lavoro, lavoro che potrà trovare andando direttamente sul sito dove l’immenso network di oltre 100,000 “Xooglers” si aiuta a vicenda, o superando in ogni selezione altrettanto bravi candidati che però nel curriculum non possono vantare il prestigioso brand tecnologico. Il “Googler” viene primo quando si tratta di percepire salari fuori mercato per mansioni che richiedono un normale QI. Ma viene primo anche quando perde quei salari e si lamenta del modo in cui è stato licenziato. Via mail: secondo alcuni poco garbato. Del resto un’azienda che coccola i propri dipendenti con chef privati – nel solo ufficio di Londra, mi confermava un ex dirigente, assunsero lo chef del rinomato ristorante Zuma e un altro chef che lavorava sulle navi dei miliardari – poteva addolcire loro la pillola con una chiamata, anche se nelle lamentele per la separazione un po’ brutale, questi “Xooglers” spesso non ci fanno sapere a quanto abbia ammontato la liquidazione.
Da persone di buon senso, potreste obiettare che quando si licenziano oltre 10,000 persone può diventare complicato coordinare 10,000 chiamate in un breve lasso di tempo ma soprattutto avere sufficiente personale dedicato per farlo. Vero. Ma se c’è un’azienda che pare avere infinito personale per qualsiasi mansione immaginabile è proprio Google.
Un dirigente HR mi segnalava ad esempio che nella sua nuova azienda non ama assumere recruiter ex-Google perché non sono in grado di fare il lavoro nella sua completezza. Non che il lavoro di un recruiter sia già di per se’ complesso come quello di un ingegnere aerospaziale, ma a quanto pare a Google un recruiter è finanche supportato da un’altra figura che si occupa prettamente di stendere le job description, e un’altra ancora che si occupa di fissare gli appuntamenti con i capi. Un altro Googler ha in questi giorni annunciato su Linkedin il suo licenziamento. Faceva il “sales enablement manager”, o secondo la sua stessa descrizione su Linkedin si occupava di passare le prime settimane con i nuovi assunti alle vendite e “sviluppare la giusta mentalità e comportamenti e costruire un ambiente psicologicamente sicuro per farli crescere e imparare”. In sostanza faceva l’affiancamento, che in una azienda normale, i comuni mortali, fanno direttamente con il proprio capo.
Google ha invece un ruolo dedicato, che non parrebbe di altissimo profilo dirigenziale, ma che gli ha consentito in meno di otto anni di mettere da parte l’equivalente in dollari americani di un milione, come spiega nel dettaglio nel suo canale Youtube dedicato alla finanza personale, che coltivava nel molto tempo libero lasciatogli da Google, come peraltro numerosi colleghi.
Fra i vari licenziati poi non mancano titoli molto creativi. Non avevo idea di quanti “Director of Mental Health” avesse Google. Verrebbe da domandarsi se il colosso di Mountan View sia un’azienda, talvolta un villaggio vacanze o piuttosto una clinica, dato che nemmeno l’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro ne ha mai avuti così tanti. Peraltro non si tratta nemmeno di persone laureate in psicologia (e magari pagate più ragionevolmente a tariffa oraria a mercato), ma ex capi marketing, ex capi acquisti, gravitati in questa singolare funzione conservando il loro salario originale. Tanto che una mente avveduta potrebbe pensare si tratti di dirigenti “trombati”, ma tenuti comunque sul bilancio di Google per decenni, a differenza delle tante aziende che possono permettersi ben meno sprechi.
In tutto questo, sarebbe opportuno che i media iniziassero a parlare anche di qualche numero. Come ad esempio il fatto che i licenziamenti di Google sono di circa 12,000 dipendenti ma le assunzioni durante la pandemia – quando il resto del mondo soffriva, chiudeva, e perdeva il lavoro che spesso poi non ha più ritrovato – sono ammontate a 67,880. Per Amazon invece si tratta di 26,000 licenziati contro 746,000 assunti in pandemia, e tutte le aziende tech hanno partecipato a questa bulimia.
E allora lo scriviamo noi. Di un mondo a due velocità. Di chi lavora nell’economia reale, fatta di costi, prodotti che si muovono su rotaia, margini e supply chain già spremuti e stipendi che crescono lentamente, e di chi lavora nel virtuale, spesso in monopoli di fatto, che non pagano tasse, controllano mentalmente noi e le nostre vite con algoritmi di cui non ci è concesso sapere nulla e dove pure i dipendenti che passano le giornate a mangiare snack dello chef di Zuma, hanno il diritto di passare sui media per vittime del sistema, all’occorrenza.
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